Anche i prodotti di Elena Salmistraro, product designer e artista milanese classe 1983, hanno viaggiato per il mondo lungo le rotte internazionali di The New Italian Design, la mostra – ricognizione sul design italiano contemporaneo organizzata negli anni scorsi dal Triennale Design Museum di Milano e curata da Silvana Annicchiarico e Andrea Branzi. C’era anche lei tra le progettiste selezionate per W-Women in Italian Design, nona edizione del Triennale Design Museum presentata in occasione della XXI edizione dell’Esposizione Internazionale della Triennale di Milano. Sono solo due tra i traguardi raggiunti dalla designer dalla fondazione del suo studio, che si avvia a vele spiegate verso il decimo anno di apertura, nel 2019. Con il vigore di uno stile grafico e pittorico irresistibile e la coinvolgente reinterpretazione dell’immaginario zoomorfo, Elena Salmistraro si affaccia alla prossima Milano Design Week con un bagaglio di novità e collaborazioni di tutto rispetto. E, soprattutto, con “l’onore di rappresentare il Brera Design District come ambasciatrice”.
ZERO: Per la tua “capacità di introdurre il proprio immaginario espressivo nel dialogo con la grande produzione seriale, arricchendola di nuovi spunti di riflessione” hai ricevuto il premio come Migliore designer esordiente nell’edizione 2017 del Salone del Mobile Milano Award. Con questo riconoscimento in tasca, come ti prepari alla Milano Design Week 2018?
ELENA SALMISTRARO: Lo spirito e l’entusiasmo sono quelli di sempre. Il premio ricevuto non ha cambiato assolutamente il mio modo di pormi verso questo meraviglioso evento che è la Milano Design Week. Ovviamente oggi c’è un po’ più di consapevolezza e maturità, ma spero e soprattutto cerco di non perdere mai quell’emozione e quella voglia che mi spingono a fare questo mestiere.
La design week milanese è una sorta di contenitore magico con al suo interno eventi e rappresentazione di vario tipo e genere
Lo scorso anno di questi tempi avevi realizzato una sorta di mappa illustrata, combinando i progetti e i luoghi in cui avremmo potuto vedere esposti i tuoi prodotti, in giro per Milano. Nella prossima edizione dove sarai? Con cosa?
Quest’anno sarò presente sia al Salone che al Fuorisalone, dove avrò l’onore di rappresentare il Brera Design District come ambasciatrice. Devo ammettere che le novità saranno molte: per mia fortuna ho avuto il piacere e la possibilità di confrontarmi con materiali e scale differenti. Posso anticiparvi che arriveranno altri tappeti per cc-tapis ed altre carte da parati per London Art. Continuerà l’immancabile collaborazione con Bosa e spero di stupire con il lavoro fatto per Lithea. Non aggiungo altro anche per non rovinare la sorpresa, ma spero che le tante novità piacciano.
Hai anche sviluppato un progetto per Timberland. Ci racconti?
Il lavoro per Timberland è stato molto divertente. Sono stata chiamata a realizzare un’installazione che rappresentasse la nuova collezione donna. Il risultato è una grande quercia, simbolo da sempre riconosciuto del marchio Timberland, rivisto come una sorta di “madre natura” che accoglie e protegge. Un’installazione viva, con un cuore che batte.
Bosa – Primates – Kandti[/caption]
Dall’inizio dell’anno, hai già esposto a IMM Cologne e a Maison&Objet. Milano cosa potrebbe far proprio di queste due kermesse e, al contrario, cosa credi che entrambe “invidino” alla Milano Design Week?
Non vorrei apparire di parte, ma credo che Milano sia da considerare come la madre di tutte le manifestazioni di design. La design week milanese è una sorta di contenitore magico con al suo interno eventi e rappresentazione di vario tipo e genere; mentre, a mio parere, all’estero cercano di essere più settoriali, concentrandosi maggiormente su alcuni aspetti forse più affini alla loro cultura. Per fare un esempio: Colonia è molto più tecnica, Parigi è più attenta all’oggettistica.
Nel 2014, insieme a Cristina Celestino e Serena Confalonieri, hai presentato una collezione di accessori per la casa e la tavola ispirata all’identità milanese. Se ti chiedessero di metterti alla prova ora con una città, sceglieresti ancora Milano? E se sì, con quale altra peculiarità del tessuto locale ti misureresti?
Forse non sceglierei ancora Milano, non perché non la senta vicina o non ne apprezzi le caratteristiche, anzi, chi mi conosce sa che la adoro. Semplicemente non la sceglierei perché mi piace mettermi in gioco, preferisco sempre confrontarmi con qualcosa di nuovo e di sconosciuto piuttosto che ripetermi. Potrei scegliere New York, perché oltre da amarla alla follia, mi piace perché è piena di spunti ed ispirazioni; oppure Siracusa che, oltre ad essere la città natale di mio marito, è bellissima e carica di storia e mito.
Hai iniziato – anche – con l’autoproduzione. Ti piacerebbe proseguire in questa direzione? Noti una decrescita di questo “fenomeno”?
Per quanto mi riguarda l’autoproduzione, oltre ad essere stata un mezzo per farmi conoscere, è parte integrante del mio lavoro. Oggi forse ho meno tempo a disposizione da dedicarle, ma adoro lavorare gli oggetti con le mani e credo sia l’essenza del fare design. Poi, ad esser sincera, la mia ultima autoproduzione non è neanche così distante: l’anno scorso ho presentato una Capsule Collection di 5 statuine in ceramica per Luisaviaroma. Non penso sia un fenomeno in decrescita, anzi l’esatto contrario. Ho notato come sempre più spesso i designer si trasformino loro stessi in azienda e dal mio punto di vista è come una sorta di autoproduzione 2.0.
Fiducia e affinità di vedute a parte, quale ulteriore “risorsa” può fare la differenza affinché la collaborazione tra un designer e un’azienda porti a entrambi i risultati sperati?
Credo sia il coraggio. Sono convinta che aziende e designer debbano avere il coraggio di innovare, di cambiare, anche di rischiare ovviamente. L’omologazione non sempre paga, la politica del prodotto “medio” che soddisfi tutti ha saturato il mercato di prodotti simili a sé stessi.
In questo momento, la matrice naturalistica – tra fiori, piante, animali – sembra permeare il tuo linguaggio e la tua visione. In una collezione come i vasi “Primates” per Bosa, ad esempio, si sommano memorie di viaggio, esperienze del passato o semplice volontà di reinterpretare, con una formula anche irriverente, la relazione tra l’uomo e i suoi discendenti?
Sicuramente, per quanto riguarda i Primates, la fascinazione ha giocato un ruolo di primo piano. Tutto il mio lavoro è principalmente basato sulla reinterpretazione: amo raccontare la vita attraverso il mio personale punto di vista, trasformando sogni e visioni in oggetti. Cerco quanto più possibile di catturare emozioni per rielaborarle ed esternarle sotto forma di oggetti.
L’omologazione non sempre paga, la politica del prodotto “medio” che soddisfi tutti ha saturato il mercato di prodotti simili a sé stessi.
Sui social – penso ad esempio a Instagram – ti vediamo spesso tra pennelli, tele, colori, smalti, matite: per te che hai una formazione artistica, qual è il valore del disegno e, in particolare, di quello a mano? E, inoltre, come progetti?
Io amo disegnare, l’ho sempre fatto, fa parte di me. Non sono molto brava con le parole e molto probabilmente il disegno è il mezzo con cui preferisco comunicare. Per quel che mi riguarda il disegno è una componente fondamentale del mio lavoro, tutto ha inizio da una linea o da un cerchio tracciato su un foglio, solo successivamente entrano in gioco le nuove tecnologie, ma cercando quanto più possibile di mantenere vivo il carattere e l’unicità del mio linguaggio.
Dove ti tieni aggiornata? Social, siti web specializzati, riviste di settore, mostre…
Devo ammettere che per comodità i social ed i siti web specializzati hanno conquistato una bella fetta di quello che può essere considerato il mio aggiornamento. Ovviamente le mostre, come i libri, continuano a ricoprire un ruolo fondamentale difficilmente rimovibile, rappresentano sia l’inizio che l’approfondimento di qualsiasi argomento. Altro aspetto molto importante, che credo non vada sottovalutato, sono le persone: osservare la società e capirne i bisogni, le tendenze, le passioni è forse il più grande aggiornamento che un progettista possa fare.
C’è un artista o un designer con il quale “ti senti in debito”? Esiste un artista o un designer che continui a studiare o nella cui opera cerchi una sorta di “conforto” di fronte a una questione, formale o tecnica, da risolvere?
Questa domanda mi dà la possibilità di presentare il mio prossimo lavoro per Bosa. Ho infatti disegnato una nuova collezione di contenitori che avrà il nome di Most Illustrious, una sorta regalo a chi, anche se inconsapevolmente, ha donato tanto al mio modo di percepire il design. Questo perché gli artisti/designer a cui devo qualcosa, a livello intellettuale, sono moltissimi, posso solo dire che la collezione avrà inizio con quattro figure di spicco: Achille Castiglioni, Michele De Lucchi, Riccardo Dalisi ed Alessandro Mendini.
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I navigli e ticinese ovviamente, tutto il quartiere: ci sono nata, ci vivo e ci lavoro. La Pinacoteca di Brera, il fioraio Bianchi sempre in Brera, lo spazio Rossana Orlandi e lo spazio NonostanteMarras.