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Emanuele Broccatelli

Intervista con Emanuele Broccatelli, barman dell'R Cocktail Bar

Scritto da Nicola Gerundino il 10 febbraio 2015
Aggiornato il 23 gennaio 2017

Uno dei barman più bravi, girovaghi e richiesti che lavorano a Roma. I suoi drink li abbiamo bevuti al Caffè Propaganda, alla Stazione di Posta e ora al bar R dell’Hotel Majestic. Un’intervista per rivivere questo percorso e sbirciare qualcosa nel futuro della miscelazione capitolina.<

Zero: Iniziamo dalle presentazioni…
Emanuele Broccatelli: Mi chiamo Emanuele Broccatelli, sono nato il 23/02/1983 a Marino.

Quando hai iniziato ad avvicinarti al mondo della miscelazione?
Correva l’anno…. È passato qualche anno in effetti, diciamo che avevo più o meno 17 anni.

Ti ricordi il primo cocktail che hai preparato? Era buono?
Oh sì! La povera proprietaria del Finnegan’s di Marino ne ha provati di pessimi, cose “anni 90 style”, se così si può dire. Il primo era un qualcosa base pestato molto in voga: lime e zucchero, vodka ai mirtilli e ginger ale… Era buono? Fatelo voi e poi ditemi!

Dove hai lavorato qui a Roma prima di approdare all’Hotel Majestic? Ci racconti com’è è nato quest’ultimo incontro
Sono tornato da Londra per il progetto Propaganda, un grande locale che mi ha dato tanto, soprattutto la possibilità di esprimermi senza riserve, ho avuto carta bianca sin dall’inizio e di questo ringrazio Maurizio Bistocchi. Finito il progetto al Propaganda ho incontrato un altra grande persona, Pino Cau, che ha creduto in me a 360° affidandomi, sotto sua cura, il progetto di Stazione di Posta. Diciamo che è stata la mia prima vera esperienza, il mio “bambino”, in quanto insieme a Pino ho dovuto immaginare tanto, ma tanto, quali potessero essere le potenzialità della location, molto controversa per sua natura. A me piacciono le sfide e quindi mi sono buttato a capo fitto nel progetto che mi ha dato tante soddisfazioni e continua a darmene: ora è addirittura una stella Michelin! Per quanto riguarda il Majestic, l’incontro con Massimo Riccioli (lo chef dell’hotel, nda) era già avvenuto a Londra, al Corinthia Hotel dove io lavoravo al Bassoon Bar e lui era chef-patron del Massimo Restaurant. Ci siamo poi incontrati la prima sera che aprivamo il ristorante gourmet di Stazione di Posta e poi, grazie ad Enrico Camelio, ci siamo incontrati di nuovo all’Hotel Majestic. Una volta entrato la prima volta, be’, ho sentito che era la prossima sfida: a 30 anni mi si prospettava davanti la gestione del bar di uno degli alberghi più storici di Roma (1889) e non ho potuto dire di no. In più, anche qui ho avuto carta bianca per il nuovo progetto che bolliva in pentola: uno “street bar” in un 5 stelle di lusso. E ho accettato.

Com’è lavorare in un hotel e cosa cambia per un barman?
Lavorare in hotel è diverso e uguale allo stesso tempo. Diverso perché – e a me piace – devi avere molti più dettagli nel servizio da tener sotto controllo, devi saper leggere le persone che hai di fronte capirne i gusti e interpretarli, sempre nel rispetto di un’unica regola che a oggi sembra sempre più essere lontana dal mondo del bar: la “guest satisfaction”, che poi si traduce nel concetto di “hosting” da dove nasce questo lavoro, mentre oggi vedo tanto “ego” e poca “umiltà”. L’hotel invece ancora è fedele a questi principi e quindi io mi sento a mio agio. Inoltre soprattutto c’è un continuo scambio con diverse culture, quindi non sembra di essere a Roma ma ogni giorno in un luogo diverso del mondo e questo “mi riempie”. Chiaro, manca un po’ di quel divertimento leggero che hai in uno street bar e che adoro, ecco perché ho cercato di unire le due facce della stessa medaglia nel progetto di “street bar a 5 stelle”: da me puoi venire, sederti, stare al banco in un ambiente molto informale, che ti fa sentire a casa, dove gli ospiti devono divertirsi senza sentire il senso del lusso, ma essendone all’interno, con tutti i suoi piacevoli comfort. È come ricevere degli ospiti a casa: cerchi di farli stare più a loro agio possibile e farli stare bene. Be’, il gioco è tutto qui, dare e ricevere nel completo relax.

Che tipo di cocktail offri ai tuoi clienti? Ci racconti la carta dei drink dell’R?
Sono drink che seguono la mia filosofia: “Rievocazione liquida di ricordi”, ovvero far rivivere un ricordo attraverso le mie bevande. Si basa soprattutto su un riscoprire quella che è la tradizione italiana del bere, riproponendola in versione 2.0, se così si può dire.

Che cocktail consiglieresti di provare a chi viene per la prima volta all’R?
Sicuramente lo “Spritz a modo mio”, una bibita di colore rosso che ricorda lo spritz in colore e aroma, ma molto più complessa e mutevole. Poi i cocktail imbottigliati, affinati e ossidati, che migliorano il loro gusto attraverso una componente immutabile: il tempo. Ad esempio il Negroni OX, un Negroni lasciato almeno per un mese e mezzo. Come descriverlo? Meglio se lo venite a provare: ce ne sono solo due litri al mese, quindi dovete essere anche fortunati.

Come vedi la piazza romana? Possiamo dire che il bere cocktail di qualità non sia più un’abitudine di una parte ristrettissima del pubblico? Cosa c’è da migliorare ancora secondo te?
Questa è una bella domanda. Credo ci siano due piazze in realtà: la piazza di quelli che pensano, credono nelle proprie idee e fanno del tutto per portarle avanti, facendo sacrifici e cercando di dare il massimo; la piazza di quelli che io definisco “cinesi”, ovvero abili nel replicare “male”, senza sapere ciò che stanno facendo e perché, senza esperienza e soprattutto senza un “pensiero proprio”. Quelli che vedono qualcosa che funziona e non si pongono il problema dell’unicità, ma la prendono e la fanno diventare commerciale e soprattutto senz’anima. Fortunatamente il buon bere si è sdoganato, ma grazie a quelle persone che ci hanno messo anima e corpo per farlo, vedi Patrick Pistolesi, Daniele Gentili, Valeria Bassetti e tanti altri, che negli ultimi anni hanno lavorato per raggiungere questo obbiettivo e nel frattempo lavavano anche i bicchieri e gli shaker e buttavano anche l’immondizia. Quello che bisognerebbe cambiare oggi? Tornare a pensare che siamo baristi, che siamo persone che sono lì per far divertire la gente e soprattutto non siamo PROFESSORI ma BIBITARI! Cominciare di nuovo a parlare, fare squadra, creare dei percorsi degustativi nei diversi bar per i clienti, così da creare una rete dove gli appassionati possano scoprire la bellezza delle differenze dei migliori bar di Roma.

Immagino avrai viaggiato tanto in questi mesi e anni, per lavoro e per ricerca. Ecco, che città e che locale ti hanno particolarmente colpito ultimamente, sempre per quello che riguarda il mondo del cocktail?
Londra per me è casa e come sempre il mio locale preferito è dove mi sento a casa, quindi dico The Hide Bar in Bermondsey Street, dove l’oste è Paolo Tonellotto. Che dire, quando vado li non vado per i cocktail – già so che lì sono perfetti – ma per farmi due risate e chiacchierare con gli amici, alla fine il concetto di bar non sta nel bere ma nel socializzare.

Il cocktail che in questo momento preferisci bere?
Come sempre, sono molto affezionato ai classici: Martini, Manhattan, Tom Collins e il classico Gin&Tonic.

Quello che preferisci preparare?
Il Sazerac, decisamente il mio preferito

Dove ti piace andare a mangiare quando non sei al bancone dell’R?
La Santeria, Litro, Cavour 313, Il Pastificio, La Rosetta, Yakiniku

Uno luogo, o anche più di uno, che consiglieresti di visitare per appassionarsi all’arte della miscelazione
Barnum Cafè, Baccano, Spirito, Banana Republic, Le Bon Bock, Caffè Propaganda