Venerdì 18 marzo abbiamo organizzato un talk dal titolo «Collezione Branca e Galleria Campari: dalla filiera produttiva al museo d’impresa» all’interno di Zero Design Festival, quest’anno al Plastic. Mattia Lissoni (Milano, 22/02/85), proprietario del Pinch, è tra gli ospiti del talk e protagonista della mostra di bar tools che stiamo allestendo. In questa intervista ci racconta i suoi primi dieci anni di lavoro nel mondo dei bar.
ZERO: Come e perché hai iniziato a lavorare al bancone?
Mattia Lissoni: Ho iniziato a fare questo lavoro un po’ per caso, facevo il fotografo e mi serviva un lavoretto per arrotondare. Le cose sono poi leggermente cambiate.
Chi è stato il tuo maestro?
Tra i miei maestri ci sono sicuramente Fausto Polestra e Umberto Consiglio, grazie ai quali sono salito dietro un bancone. Successivamente sono stato formato/massacrato da Enrico Contro e Sergio Sbizzera, quest’ultimo in maggior misura (mi ha sopportato per quattro anni).
Qual è il primo drink che hai preparato? Com’era?
Il primo drink più strutturato che ho servito era un Aperol Sour, è venuto abbastanza bene.
Puoi raccontarci la tua esperienza professionale?
In breve la mia esperienza nel settore passa da lavabicchieri e barback ai primi approcci di miscelazione semplice, per poi crescere: il tutto passando da Cape Town Cafè, Pravda Vodka Bar, Lacerba, la gestione di Banco e poi iniziare l’avventura Pinch.
Come sei arrivato ad aprire il Pinch?
L’apertura del Pinch parte da un’idea dei miei due soci, Giovanni Ripoldi e Massimo Manera, i quali mi hanno fatto una proposta che mi sembrava interessante e piano piano abbiamo costruito il locale che potete vedere oggi, in continuo cambiamento e rinnovamento.
Quali sono i prodotti ai quali non rinunceresti mai?
I prodotti a cui non potrei rinunciare sono tutti quelli nazionali che tanto amo, partendo dai vermouth senza dimenticare liquori e amari. Detto questo anche gin, whiskey, rum e mezcal li reputo altresì fondamentali per l’odierna miscelazione.
Mattia Lissoni ci aveva in precedenza fornito una sua lista delle 10 bottiglie con cui ama lavorare: cliccate qui per vedere se c’è anche la vostra.
Per Zero Design Festival ti abbiamo chiesto di partecipare alla chiacchierata con i musei d’impresa di Branca e Campari. Puoi raccontarci il tuo rapporto con queste due case di alcolici? So che sei molto legato soprattutto alla prima, come mai?
Il rapporto che ho con Branca e Campari è un po’ quello che ho con tutti i prodotti della tradizione alcolica italiana. Questi due in particolare nascono nella mia stessa città e la accompagnano da più di un secolo, così come accompagnano gli operatori del settore nella creazione di ricette, non solo in Italia ma in tutto il mondo. La mia passione per il Fernet-Branca nasce dalla versatilità e genuinità del prodotto stesso: come il contenuto della bottiglia, anche l’azienda produttrice ha un carattere forte e carico di tradizione.
(Clicca qui per leggere la recensione del Museo Branca scritta da Mattia Lissoni, NDA)
Qual è l’oggetto a cui non rinunceresti mai mentre lavori, che hai scelto per la mostra “Bar Tools/Cose da bar” che stiamo allestendo alla galleria Plasma del Plastic? Puoi parlarci del rapporto tra il tuo lavoro e il design, inteso non solo come oggetti/bar tools, ma anche come lifestyle/arredamento/abbigliamento?
L’oggetto a cui non rinuncerei mai è uno shaker in argento degli anni 50 all’incirca, se non sbaglio. L’ho trovato sepolto in un mercatino e chi me lo ha venduto non sapeva nemmeno cosa fosse (infatti l’ho pagato 5 euro). Contrariamente a quanto si può pensare lo adopero rarissime volte, per un motivo particolare: lo uso solo per preparare il primo drink che ho inventato, un semplice sour con centrifugato di zenzero e liquirizia che i miei clienti più affezionati ancora mi chiedono. Vederlo tra le mie attrezzature mi ricorda da dove sono partito e quanta strada ho ancora da fare.
Il design ha influenzato moltissimo il settore bar e miscelazione, basti pensare alle miriadi di forme e dimensioni di tutte le attrezzature che utilizziamo quotidianamente come shaker, mixing glass e bar spoon per esempio. La trasformazione di tali oggetti non solo avviene per fini meramente estetici ma segue una logica basata sui diversi risultati che si vogliono ottenere, scegliendo una tipologia di attrezzo piuttosto che un’altra. Anche sull’abbigliamento scelto per stare dietro un bancone c’è stata una ricerca precisa e specifica, negli ultimi anni si è potuto notare come sempre più persone, anche estranee al settore, abbiano adottato lo stile e le abitudini alcoliche dei più rinomati bartender.
Un altro dei temi Zero Design Festival è legato al bere bene di notte, nei club e nelle discoteche. Quest’anno stai lavorando con i ragazzi dell’Osservatorio Astronomico in Dude Club. Puoi parlarci del progetto? Che drink proponete? È davvero possibile bere bene in discoteca?
La collaborazione con l’Osservatorio Astronomico in Dude Club è nata dall’amicizia con uno dei soci fondatori e ha trovato basi concrete nel lavoro fatto precedentemente da quest’ultimo, Geronimo Gaiaschi (azzarderei ideatore del progetto Osservatorio Astronomico) e da Fabio Spinelli che ha dato una forte impronta al bar. Il modo in cui abbiamo voluto incrementare questo progetto si sviluppa a lungo termine, vogliamo trasformare e aumentare la qualità per il bar dell’Osservatorio Astronomico abbinato anche ad una trasformazione dell’ambiente generale della sala. I drink proposti sono di facile comprensibilità al grande pubblico ma comunque molto vicini alle proposte di locali come il Pinch per esempio, il coefficiente di difficoltà aumenterà a ogni cambio di lista. Bere bene di notte si può fare e lo stiamo dimostrando, ma soprattutto si deve fare: è inutile mangiare bene se poi si beve male.
Che cosa preparai da bere a Zero Design Festival?
Da bere al Plastic preparerò appunto la mia prima invenzione, si chiama Eclisse: Vodka, limone, sciroppo di zucchero, centrifugato di zenzero e liquore alla liquirizia. Fresco e saporito, color della notte.
É un periodo parecchio favorevole per il mondo dei bar e dei barman a Milano: aprono sempre più locali, alcuni anche di qualità. Qual è il tuo punto di vista? Li frequenti? Ti piacciono?
Il fatto che stiano aprendo locali a Milano di qualità sempre maggiore non può che essere una gioia, se ci si basa sui principi di collaborazione e non di concorrenza, il vantaggio delle nuove aperture è palese: aumentando la proposta e la qualità si valorizzano le diverse zone della città e si aumenta l’affluenza nelle stesse. Con più professionisti dalle qualità elevate, c’è più possibilità di confronto e quindi di miglioramento. Con una maggiore densità di queste persone i riconoscimenti dell’intera città, anche dall’estero, non tardano ad arrivare. Li frequento meno spesso di quanto vorrei purtroppo.
Quali sono i locali di Milano che frequenti? (bar e ristoranti)
Quando riesco a sedermi anche io dall’altro lato del bancone mi piace andare al Mag, al Rita, da Carlo e Camilla in Segheria e in tutti posti, come questi ultimi, fatti di persone e genialità. Per il mangiare adotto un po’ lo stesso criterio, e seguo le voglie del momento.
Che città consiglieresti per un weekend dedicato al bere bene? Perché?
Per una gita alcolica consiglio sicuramente Roma, Napoli e Palermo. Negli ultimi anni la qualità, per quanto riguarda i locali di queste città, è schizzata alle stelle a mio parere.
Tu cosa bevi di solito?
Bevo un po’ di tutto, spesso gin tonic e daiquiri, ultimamente anche mezcal liscio.
Bevi tutti i giorni? Cosa significa per te bere responsabilmente?
Bevo con una certa regolarità, forse non tutti i giorni ma quasi. Bere responsabilmente significa conoscere se stessi, i proprio limiti e capire quando fermarsi, ma è anche scegliere di bere prodotti di qualità che non siano nocivi per il nostro fisico, sempre tenendo sotto controllo le quantità ovviamente.
E qualora avessi esagerato, qual è il rimedio per riprendersi da una sbronza?
Il rimedio migliore per riprendersi da una sbronza è la pazienza: prima o poi quella sensazione di morte celebrale passerà… forse.