Ma chi l'ha detto che per stare bene bisogna ridere e divertirsi? Io raggiungo la pace dei sensi quando ascolto i Radiohead, il mio gruppo preferito, quello col quale sono cresciuto. Quando andavo al liceo "Karma Police" è diventata l'inno da cantare a squarciagola. Mi sono innamorato ascoltando "Lucky" ed "Exit Music". Con gli album "Kid A" e "Amnesiac" ho scoperto le mille varianti della musica elettronica. Ho apprezzato il ritorno al rock di "Hail to the Thief" e non riesco a smettere di ascoltare "In Rainbows" (soprattutto il bonus cd, con quel capolavoro di "Last Flowers"). E poi mi è sempre piaciuto il loro essere antisuperstar: il leader Thom Yorke, come dicono i detrattori, non canta, si lamenta. Però con questi lamenti è capace di farmi chiudere gli occhi e comunicarmi tutto il disagio che sente. Il mondo che mi schiaccia. E, ancora, i Radiohead bevono tè in sala prove, mica whisky. Non è dato di sapere però cosa ci sciolgano. Probabilmente niente: Thom è così di natura, con quel suo occhio sifulo (non ridete, è una malattia). Ai concerti dà tutto quello che ha, si consuma per il pubblico, sembra in un'altra dimensione, mentre le tracce della scaletta (sempre diversa) si susseguono in un'apoteosi. Interiore però.
Radiohead
17/6/2008, Arena Civica Gianni Brera, via Byron 2, Milano
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