I chitarroni, ve li ricordate? C’erano gli anni 90 (come gli 80 e i 70), nei locali si fumava ancora, a Milano c’erano persino i centri sociali e dietro la coltre di fumo non si vedeva quasi nulla di quei palchi male illuminati. Il giorno dopo ci si svegliava con la strada sensazione di vivere dentro un portacenere, nelle orecchie c’era quel sottilissimo fischio, quasi impercettibile, che ha aperto la strada agli acufene di oggi. C’erano le scene, il grunge, la droga e il disagio. Questi ultimi due ci sono ancora, a dire il vero, ma ai tempi il disagio non andava di moda. I disagiati si chiudevano nelle loro camerette e si sfogavano in un modo solo: coi chitarroni. Poi sono arrivati i computer, e dall’autismo chitarronistico si è arrivati a farsi i dischi da soli. Il disagio ha fatto un passo avanti, si è arricchito di sfaccettature e opportunità, solo abbassando un po‘ il volume. Dagli anni ’90 a oggi, l’accoppiata His Electro Blue Voice / Havah pare il sunto di un ventennio di disagio evoluto. I primi coi loro chitarroni che fanno sbedeng sbedeng come se ci si trovasse ancora all’ombra dello Space Needle. Il secondo con il suo dark lo-fi da cameretta, sfoggio di un’urgenza espressiva che aveva bisogno di solitudine per venire a galla. Gli anni 90, ma 2.0.
Geschrieben von Filip J Cauz