È difficile codificare il lavoro di Sarah Sze perché, non appena una delle sue installazioni entra nel proprio campo visivo, è lo stupore il sentimento che la fa da padrone e annebbia le facoltà intellettive più razionali. Forse potremmo definirlo un tentativo steampunk di ricostruire la memoria visiva di un essere umano, con decine, centinaia di superfici riflettenti immagini, unite tra loro da connettori fragili e sottili.
Un totem multischermo, un interfaccia neurale, una camera delle meraviglie, una caverna platonica buia dove il fuoco è sostituito da alcuni proiettori. Un’altra riflessione sul rapporto uomo-tecnologia da parte del mondo dell’arte, che ne ha fatto un proprio chiodo fisso. Oltre ai lavori alla Gagosian, dal 21 novembre Roma ospiterà un’altra opera dell’artista statunitense: un grande geode spaccato a metà sui cui è stato impresso un tramonto pixelato, immortalato con un iPhone.
Geschrieben von Nicola Gerundino