Un punto di arrivo, ma anche di incontro, di immersione, di comunicazione tra i partecipanti e tra i sensi. Questo è Standards: vortice magnetico che promuove linguaggi contemporanei delle arti, spazio che in tre anni di attività ha mantenuto uno sguardo attento e originale sulla materia sonora, e che offre sempre qualcosa da scoprire, esperienze spesso „site specific“, ogni qualvolta si varchi il suo cancello di Via Maffucci. „Città Suono“ è l’ampio progetto/piattaforma inaugurata a settembre – e che si svilupperà fino ad aprile – con l’intento di proseguire e implementare il percorso di ricerca internazionale attraverso incontri, workshop teorico-pratici, lecture, listening session, sperimentazione filmica, performance outdoor e laboratori per bambini.
“C’è un sacco de roba” (cit.) nel programma e di solito preferisco istigare la curiosità di chi legge piuttosto che fare elenchi di nomi: Città Suono ha ospitato e ospiterà alcune delle personalità contemporanee più interessanti in campo sperimentale, sonoro e performativo, mettendo l’accento sulle relazioni tra questi, relazioni che si esplicitano anche sul campo, fuori da Standards, con la partecipazione del pubblico. Accanto ai Seminari Pubblici, al ciclo Live Cinema e dopo le performance di Ryoko Akama/Gerard Lebik, Luciano Maggiore/Louie Rice, Romy Ruegger per la rassegna I/O e i live di Ben Vince, Tarawangsawelas e Fia Fiell, nel calendario dei „concerti“ c’è anche quello, in collaborazione con l’associazione torinese ALMARE, di Marina Rosenfeld, a Milano per la prima volta.
La ricerca dell’artista americana indaga da sempre le modalità dell’organizzazione di corpi, altoparlanti e pubblico presenti all’interno di uno spazio – immaginati come „costellazioni ibride composte da sculture, notazioni, musica e video“. Nel ’90 fonda il collettivo femminile di 17 chitarriste „The Sheer Frost Orchestra“ e comincia a sperimentare con giradischi DIY, collaborando con musicisti, ballerini e artisti teatrali. Stasera a Standards presenterà „Production“, performance che riflette sull’interazione tra registrazione, composizione e improvvisazione creando orchestre temporanee realizzate con dubplate appositamente prodotti in relazione alle peculiarità acustiche del sito della performance. V’ho già detto troppo.
Geschrieben von Vittoria De Franchis