Anderson .Paak è arrivato al successo a trent’anni, un’età tutt’altro che prematura rispetto ad altri fenomeni contemporanei della scena black. Ma il suo momento di grazia, culminato col recente Grammy per la migliore performance rap in „Bubblin'“, dura ormai da tre anni. Meritatamente. La sua gavetta è una tipica storia americana: da giovane si paga le lezioni di batteria lavorando nella manutenzione di campi da football e da tuttofare in una pot farm a Santa Barbara.
Il suo talento per fortuna colpisce un po‘ casualmente Shafiq Husayn dei Sa-Ra che si innamora della sua voce R&B calda e sensuale e lo fa entrare nei giri giusti di L.A. Il disco d’esordio del 2014, „Venice“, lascia a bocca aperta altri due guru della scena come Madlib e Dr. Dre che lo coinvolge nell’iconico album „Compton“. Tutto il resto succede abbastanza velocemente tra 2015 e 2016, quando „Malibu“ finalmente lo fa conoscere al mondo intero. La classe del jazz, il calore del soul e un incandescente fuoco hip hop rigorosamente West Coast rendono Anderson una delle voci più corteggiate degli States.
Kaytranada, Chance The Rapper, Mac Miller, A Tribe Called Quest, Schoolboy Q lo assoldano per featuring in hit da milioni di streaming. E nel frattempo lui si fa notare in tour come uno dei migliori performer viventi. Canta, rappa, suona la batteria, improvvisa e intrattiene candidandosi a ideale erede di D’Angelo. Il suo terzo album „Oxnard“, prodotto da Dr. Dre, accoglie tra i guest Snoop Dogg, J. Cole e Kendrick Lamar, che lo aveva appena coinvolto nella soundtrack di „Black Panther“. Ad aprile uscirà il seguito, „Ventura“, già tra i dischi più attesi del momento. Un momento in cui tutto sembra ruotare intorno al fenomeno Anderson. Paak.
Geschrieben von Piero Merola