Nonostante sia stata la prima donna ad entrare a far parte dell’agenzia Magnum, Inge Morath, infaticabile e scrupolosissima fotoreporter allieva di Robert Capa, era prima di tutto un’artista. La fotografia era per lei „essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”. Una pratica intimamente quotidiana, uno strumento introspettivo, e dunque, un mezzo espressivo puramente artistico, con una forte componente femminile.
È come se per la fotografa di origine austriaca la pratica dello scattare immagini servisse uno scopo altro, oltre alla testimonianza dei fatti del mondo, trasformandosi sempre in una sorta di auto-ritratto, una forma di descrizione del sé, che però non si accontenta di fissare su pellicola una faccia e un corpo, ma cerca di andare oltre. Prova ne è il ciclo di ritratti “mascherati” con le illustrazioni di Saul Steinberg: un modo per celare l’ovvio e le mere sembianze umane e in questo modo esporre la profondità che si cela sotto le maschere che portiamo in pubblico.
A questi si aggiunge un’attività reportistica feconda e prolifica, tutt’altro che evanescente. Un’attività che però non fa che rinforzare la tesi: come non pensare che attraverso i ritratti di altri artisti, altre situazioni, altre realtà, è un po‘ come se l’autrice sparisse? Testimone di sé stessa e del mondo intorno, Inge Morath non fa che dissolversi e ricomparire. La vediamo per un attimo, prima che scompaia di nuovo, ma sappiamo che è sempre stata lì ad osservare.
Geschrieben von Enrica Murru