C’è stato un tempo il cui le canzoni pop italiane non avevano paura di far paura. Non l’underground, non il cantautorato più o meno militante, non quello strano polpettone plasmatosi nel corso dei decenni sino a diventare l’attuale carrozzone „indie“. C’è stato un tempo in cui il pop era sempre pop, anche disturbato, anche dilaniante. Fausto Rossi, in arte Faust’O, è lo spirito di quel tempo. È un tizio alto e scavato, con un physique du rôle da pubblicità progresso sulle droghe pesanti e un disco d’esordio a 24 anni intitolato „Suicidio“. Un disco registrato e pubblicato da una major, che non invitava direttamente alla morte auto-inferta, ma indubbiamente al disprezzo verso l’umanità, un po‘ anche verso la vita e i suoi protagonisti.
«Ricchi, poveri politicanti, siete figli della merda. Noi corriamo dentro il buio, riversiamo sperma sulle vostre inibizioni» cantava Faust’O nella traccia di chiusura dell’album, „Benvenuti tra i rifiuti“, diventata oggi una di quelle hit nascoste che tanta gioia (repressa e nascosta) provoca nei dj set dei flâneur milanesi. Allora invece uscì in un singolo con la fascetta: „un successo di Radio Montecarlo“, presentato a piedi nudi sul palco del Festivalbar. Qualche anno dopo la sua „Oh oh oh“ fu reinterpretata addirittura da Massimo Boldi, ma erano già altri tempi, il pop aveva già virato altrove e Fausto Rossi stava scomparendo.
Sarebbe tornato solo un decennio dopo, come produttore del fondamentale „Lungo i bordi“ dei Massimo Volume, poi con le sue canzoni, sempre paurose, sempre irreprensibili nel prenderci per mano e guidarci nel dolore, sempre a suo modo pop. Fausto Rossi è rimasto dove doveva stare, sono le canzoni pop che sono andate altrove, e così la gente, «sempre vinta in questa merda di mondo».
Geschrieben von Filip J Cauz