Prendi Enrico Malatesta ed Éliane Radigue. Due nomi che abbiamo imparato a conoscere tutti in qualche modo bene, eppure in maniere così diverse. Enrico Malatesta lo incontriamo da anni, presenza lieta e costante dei concerti milanesi in circoli e spazi di differenti dimensioni, a picchiettare e strofinare per definire proprio la diversità di quelle dimensioni attraverso l’espansione di suoni semplici e inarrestabili. Éliane Radigue la ascoltiamo nei nostri salotti, la cui dimensione generalmente non cambia (talvolta si rimpicciolisce per via di un trasloco), ma sono le sue composizioni a rimodellare lo spazio, aggredendolo con la stessa foga di un bambino che arriva al parco.
Nell’ultimo ventennio però Malatesta lo abbiamo incontrato sempre di più e Radigue sempre di meno. Il lavoro della compositrice francese si è rarefatto e rilassato: messi in pensione i sintetizzatori, ha abbracciato l’uso di soli strumenti acustici. E con questo ha in qualche modo incontrato Malatesta, che dopo averlo presentato in festival di spessore all’estero (e non solo) ora porta anche a Milano la sua esecuzione di „Occam Ocean – Occam XXVI“.
L’ottantasettenne Radigue non ci sarà fisicamente, ma in compenso ci saranno Irena Havlová e Vojtech Havel, in sintesi Havlovi, duo di archi ceco che da oltre trentanni distende le pieghe tra musica classica e contemporanea, ambient e folk. Prendi Enrico Malatesta ed Éliane Radigue. Prendi Enrico Malatesta che suona Éliane Radigue. Mettigli a fianco l’umile grazia musicale degli Havlovi. Prendi Enrico Malatesta, Éliane Radigue ed Havlovi. Mettili magari in una chiesa della periferia milanese nella nebbia di dicembre. No vabbé, ora non esageriamo coi sogni.
Geschrieben von Filip J Cauz