Poetessa, musicista, rapper, performer, artista visuale, attivista. Camae Ayewa è cresciuta ad Aberdeen, Maryland, per poi trasferirsi a Philadelphia, dove ha studiato fotografia in un istituto d’arte. In lei convivono alcuni dei temi più classicamente afroamericani che ci siano. Ha incontrato la musica per la prima volta sotto forma del gospel cantato in chiesa da suo padre; la sua prima passione bruciante è stata per il basket; è cresciuta all’interno di un difficile complesso di case popolari; l’epifania come artista la attribuisce all’incontro con l’hip-hop e, attraverso questo, con il jazz. Il titolo del suo ultimo album in studio, „Black Encyclopedia of the Air“, è quindi più che azzeccato: le esperienze di Camae sembrano essere veramente una specie di enciclopedia nera americana. Allo stesso tempo, però, l’artista si muove da basi più o meno conosciute in modo originale. Esplora territori poco battuti in tempi recenti, grazie a un’intensità fuori scala e un gusto quasi naïf che apparentemente se ne sbatte allegramente di cosa funziona e cosa no, di cosa si dovrebbe fare per piacere.
Moor Mother si appoggia esplicitamente e con orgoglio a questa tradizione, allo stesso tempo cercando di espanderla, di dilatarla così tanto che a volte rischia da sola di spezzare l’incantesimo. Per farlo, praticamente, si appoggia alle macchine: ai synth, alle batterie digitali, a suoni alieni e ossessivi. Le produzioni sembrano essere bolle piene di pus, magma sonoro che suona pulsante e ininterrottamente sotto la cute, pronto a farla esplodere dalla troppa pressione. Le batterie sempre sul punto di sfracellarsi piombano al suolo pesantemente, sotto forma di sassi che, impattando, si schiudono nella leggerezza di uno sciame di farfalle nere impazzite e dalla vita breve, come il feedback dell’effetto delay in cui sono immerse.
Geschrieben von Giulio Pecci