È il 1977 quando un diciassettenne scozzese rossastro di nome Alan McGee viene completamente folgorato dal punk. Non sarà certo l’unico adolescente a pensare alla rivoluzione sulle prime note di “God Save the Queen” accompagnate dalle smorfie di Johnny Rotten, ma la differenza è che lui, Alan McGee, sarà colui che avrà il compito di rivoluzionare la musica indipendente britannica dei due decenni a seguire. Nello stesso anno – in una delle new town costruite nella periferia di Glasgow, East Kilbride – due fratelli cominciano a progettare la loro rivoluzione “a lungo termine”: sono Jim e William Reid, anima turbolenta dei Jesus and Mary Chain.
Mentre fuori gli anni 80 imperversano con il pop elettronico da classifica, la loro rivoluzione si fonderà sugli ambiziosi dettami di Bowie e Bolan, sulla provocatorietà di Pistols e Ramones, sulla visione illuminata di Velvet Underground e Stooges, sulle melodie delle Shangri-Las e sul frastuono più atroce degli Einstürzende Neubauten. Gli ascolti si mescoleranno a una buona dose di sociopatia, speed, birra a basso costo e disagio da working class scozzese, con esiti devastanti.
Oggi i JAMC sono considerati tra i pilastri di un certo tipo di musica indipendente britannica rumorosa e melodica e se le reunion sono una delle cattive abitudini della nostra epoca, i fratelli Reid sanno di avere quella manciata di pezzi perfetti che i feedback sparati dal palco e i cori stonati da sotto rendono immuni al passare del tempo – non a caso sono recentemente entrati nella scuderia Fuzz Club, baluardo della psichedelia contemporanea. Ai loro concerti niente più risse (pure se ogni tanto un battibecco tra i due ci scappa eccome), qualche chioma canuta che ciondola e una scaletta appiccicosa come una pyschocandy, che immaginiamo pescherà dai grandi classici e dal ritorno del 2017 “Damaged and Joy”.
Geschrieben von Chiara Colli