Sono nato alla fine degli anni ’70. Decennio dorato, splendente di suoni, colori, idee, spinte. Qualcosa che si può dire di quasi ogni decennio del Novecento, ma di qualcuno di più, di quei decenni lì, culminati con gli anni ’70, di cui io ho attraversato pochi mesi, occupandomi perlopiù del mio flusso digestivo. Essere nato alla fine di un’epoca così creativamente vivace dal punto di vista musicale è una sorte ambivalente, in cui il rammarico di non aver vissuto quegli anni dal vivo si contrappone alla profondità con cui si può contemplarli ora, e rintracciarne le germinazioni sino all’attualità e oltre. Ma soprattutto obbliga a scavare, cercare, esplorare non lande sconosciute ma terre disperse oltre la linea del più immediato orizzonte.
Nel 1976, il percussionista friulano Andrea Centazzo decide di valicare l’orizzonte. Stanco dei continui rifiuti incassati per il suo disco in duo con Steve Lacy, decide di far da sé e dà vita alla prima etichetta indipendente di musica sperimentale, gestita dai soli musicisti, in Italia. Ictus Records nasce così, nell’età dell’oro. Che d’oro non era completamente, tanto che l’avventura dell’etichetta si esaurisce in otto anni, senza alcun guadagno e con grande fatica. Ma che gioielli ha saputo forgiare. Imbattersi nelle musiche di Centazzo e Ictus è stato come trovare un forziere dei pirati, un tesoro nascosto di inestimabile valore.
Il fatto che tra gli anni ’90 e i primi ’00 Ictus sia tornata a vivere e suonare, in fondo, è la dimostrazione che l’età dell’oro non finisce mai, ma tutto si crea e si distrugge, come natura vuole. Per rendersene conto basta guardare il programma di questo Ictus Festival, che riunisce gli irrequieti sperimentatori degli album degli anni ’70 (come lo stesso Centazzo, o Guido Mazzon, Giancarlo Schiaffini, Carlo Actis Dato) e gli scalpitanti inventori dei dischi più recenti (come Elliott Sharp, Harri Sjöström o Elisabeth Harnik). Con tanti saluti all’orizzonte, ormai lontano.
Geschrieben von Filip J. Cauz