Come nelle migliori tradizioni pop, Ariel Pink è uno che divide: o lo consideri geniale, oppure un fake pazzesco. Personalmente, mi ritrovo nella schiera dei primi – e l’ultimo, morboso, straripante e inclassificabile „pom pom“ ne è solo una conferma. Con quella supponenza e quella devianza ostentata lo sbatteresti al muro – poi però arriva un pezzo come „Lipstick“ che ti si appiccica in testa e un piccolo capolavoro di devasto glam come il video di „Dayzed Inn Daydream“. Con quel „filtro vhs“ (gli anni 60 guardati su una tv anni 80, tipo) che oggi suona così banale fra i suoi seguaci hypnagogici, Ariel Pink smanetta da fine ’90 e, finché non avrà esaurito il suo flusso perverso di idee, continuerà a suonare diverso dagli altri. Sembra tutta una gran presa per il culo, salvo poi considerare che a prenderlo sul serio sono stati due maestri come R. Stevie Moore e Kim Fowley.