Dici Tess Parks e il pensiero va subito ad Alan McGee e ad Anton Newcombe, due figure ingombranti che hanno avuto il merito di scoprire e plasmare il talento dell’artista canadese di stanza a Londra. D’altra parte, concentrare lo sguardo solo sui suoi pigmalioni è certamente una mossa ingenerosa – e un tantino maschilista – che rischia di distogliere l’attenzione dagli effettivi meriti di un personaggio che ha probabilmente sinora ha raccolto meno rispetto al suo valore.
Forse la colpa è anche dei tempi di pubblicazione del suo secondo album “And Those Who Were Seen Dancing”, arrivato a quasi dieci anni di distanza dall’esordio “Blood Hot”. Eppure, in questi tempi in cui la musica viene fagocitata in pochi minuti, aver atteso con pazienza per poi ritrovare un songwriting così azzeccato e ammaliante è un sacrificio che ha avuto i suoi frutti, soprattutto quando ci si può innamorare di canzoni così eterogenee – dallo psych allo spoken word fino al folk più decadente – e così smaccatamente fuori dal tempo e dallo spazio. Un viaggio da non perdere anche live: chissà fra quanto ricapiterà poi.
Geschrieben von Livio Ghilardi