La prima volta che ho „visto“ Little Simz è stato cinque anni fa, all’epoca del suo primo Tiny Desk. Una ragazza carina, minuta, evidentemente timida, quasi schiacciata dalla stanza. Per di più vestita come la protagonista hipster di un filmetto francese: tutta sogni inoffensivi e astratti , „cose carine“, desideri frustrati. Appena sentita la voce quell’immagine fortunatamente si è spezzata subito, grazie al marcato accento londinese, un flow originale e delle liriche tutto fuorché „carine“ o inoffensive. Insomma la confusione ha regnato sovrana.
Ecco, guardare il suo secondo Tiny Desk (uscito meno di un anno fa in coincidenza del suo ultimo album „Sometimes I Might Be Introvert“, premiato ai Mercury Awards come disco dell’anno) è il miglior modo di tracciare un’evoluzione tangibile e quasi stupefacente e di spazzare via la confusione. Little Simz è rilassatissima. Siede spaparanzata su un divano, la sua pelle acceca per quanto è luminosa e i dread le incorniciano la testa come una corona a tre punte. La stanza non la schiaccia più, accade esattamente il contrario. La sua immagine ora coincide con quanto di buono la sua musica ha sempre fatto intravedere; di contro quest’ultima è cresciuta tantissimo: l’artista londinese l’ha affilata, spogliandosi degli orpelli per arrivare ad un io così forte da risultare quasi intimidatorio.
Per chi l’ha iniziata a seguire a partire dagli esordi, osservare quest’evoluzione negli ultimi anni è stato un piacere. Perché era chiaro che c’era tantissimo con cui lavorare, ma anche su cui lavorare. E di solito in queste occasioni, o c’è la gloria o il baratro, nessuna via di mezzo. Little Simz è riuscita a reggersi in equilibrio e a diventare ciò che tutti noi pensavamo potesse diventare, forse di più: chi l’ha amata da subito non può non esserne felice.
Geschrieben von Giulio Pecci