June Jordan, artista, poetessa e attivista afroamericana era, sebbene autodidatta, anche architetta: lo era non in termini ufficiali, quanto nella sua capacità di figurare e raccontare, attraverso le parole e i segni messi insieme nella sua carriera, una visione spaziale e sociale del mondo assolutamente sperimentale.
Il suo interesse per la produzione architettonica, iniziato al corso di progettazione ambientale nel Barnard College e proseguito con l’inondazione visiva dell’architettura greca, dei giardini e delle stanze giapponesi e degli utensili eleganti del Bauhaus, trova grande fascinazione nelle soluzioni ecologiche e radicali di Buckminster Fuller. Proprio con l’architetto americano partecipa nel 1964 alla redazione di Skyrise for Harlem, un piano urbanistico di trasformazione del quartiere newyorkese che non prevedeva lo spostamento dei residenti, bensì la loro partecipazione e inclusione nei processi rigenerativi degli spazi urbani.
Attraverso i risultati di questa collaborazione, e di un’altra quasi sconosciuta per le aree centrali italiane, la mostra all’Academy mette in luce l’impegno di Jordan profuso attraverso una produzione di sinestesia artistica centrata su giustizia sociale, parità di genere e attenzione alle classi sociali meno abbienti: soluzioni architettoniche, poesie, fotografie e registrazioni audio diventano forme creative di autostima e coraggio, valide allora per i movimenti sociali americani e da riscoprire oggi con rinnovato interesse.
Geschrieben von Emiliano Zandri