Poche band indie rock possono vantare una carriera così duratura come i Built To Spill, formatasi a Boise, nell’Idaho nel 1989. La band nota per il suo sound rock carico di chitarre, è da sempre incentrata sulla personalità e le idee del cantautore Doug Martsch. Nonostante la longevità e la duratura produzione creativa di Martsch – contiamo nove album in studio dal 1993 – il gruppo è rimasto sempre un’entità che si è mossa principalmente nei territori ai margini del mondo mainstream, conservando un DNA prevalentemente „underground“.
Una scelta di „understatement“ più o meno consapevole che li ha incastrati forse in una produzione al di sotto del loro potenziale, come se volessero a tutti i costi minimizzare il successo e l’influenza di tre degli album indie rock definitivi e seminali degli anni Novanta. E sebbene gli anni Duemila non siano stati i loro migliori con il decimo album, „When the Wind Forgets Your Name„, nonché debutto per un’etichetta importante come la Sub Pop, è arrivata finalmente una ventata di energia e rinnovata vitalità. Il disco punteggiato di fantastiche sorprese e melodie intricate, scuote una certa stabilità da veterani senza rompere gli schemi consolidati della band, bilanciando il suono con maestria tra sensibilità calcolata e rilassata, tra brani che spingono e altri che rallentano il tiro.
Per i fan di lunga data dei Built to Spill, „When the Wind Forgets Your Name“ non dovrebbe essere una sorpresa. Non è né selvaggiamente diverso né banalmente simile alle solite tendenze della band. Rimangono praticamente fedeli all’indie-rock basato sulle chitarre che li ha portati al successo, tuttavia, ciò che fa la differenza è la loro maturità e la certezza che Martsch e soci possono ancora suonare motivati ed essere dannatamente sinceri come un quarto di secolo fa.
Geschrieben von Simona Ventrella