Evocativo ed emozionale, il sassofono di Jan Garbarek suona come nessun altro. Spesso indicato come il massimo esponente del jazz scandinavo, Garbarek è da sempre l’artista simbolo della ECM. Era infatti appena iniziato il 1971 e l’etichetta di Manfred Eicher pubblicava “Afric Pepperbird”, quello che sarebbe stato il primo capitolo di un sodalizio che, decennio dopo decennio, non avrebbe conosciuto soste.
Membro dell’European Quartet di Keith Jarrett a metà degli anni Settanta, Garbarek iniziò presto ad introdurre nella sua musica melodie folk norvegesi, fino a fare della commistione con la world music uno dei suoi tratti distintivi. Innumerevoli le collaborazioni, da quelle storiche con Ralph Towner, Egberto Gismondi o Nana Vasconcelos fino a quella di successo – anche commerciale – con The Hillard Ensemble, quartetto vocale a cui Garbarek aggiunse la voce del suo sax in occasione della pubblicazione nel 1994 dell’irraggiungibile “Officium”, seguito poi da altri tre album.
Ma è con il Jan Garbarek Group, una formazione in continuo cambiamento, che il sassofonista norvegese si presenta abitualmente al suo pubblico, con una cura per il suono che ci stupisce regolarmente, come avvenne quando suonò nel 2006 al Parco della Musica accompagnato da Eberhard Weber, Rainer Brüninghaus e Manu Katche: la Sala Santa Cecilia non aveva mai suonato così bene! Oggi, ormai settantaseienne, torna ancora una volta con l’inseparabile pianista Rainer Brüninghaus, insieme al bassista brasiliano Yuri Daniel ed al percussionista indiano Trilok Gurtu, altro compagno d’avventura in mille occasioni.
Geschrieben von Carlo Cimmino