La grandezza di un artista si misura dalla capacità di generare e trasmettere emozioni in chi lo circonda, in chi assiste a una sua performance. Da questo punto di vista, e non solo, Caetano Veloso è un fuoriclasse assoluto. Basta scorgere i volti estasiati al limite della commozione durante la sua intima e acustica esibizione di “Cucurrucucú Paloma” in “Parla con lei” di Almodóvar, con diversi attori feticcio del regista spagnolo che accettarono stravolentieri un fugace cameo solo in quella scena, pur di non perdere un’occasione simile.
Questo è solo un esempio per provare a spiegare la caratura di una delle voci e dei musicisti centrali del secolo scorso, paragonabile solo ai più grandi a livello globale, forse anche agli immortali. Dalla fine degli anni Sessanta fino ai giorni nostri, la sua musica e la sua immagine pubblica hanno sempre rappresentato un punto di riferimento, un motivo d’orgoglio per quasi tutti i brasiliani, di sicuro per quelli che hanno gioito della vittoria al fotofinish del presidente Lula lo scorso autunno. Da protagonista del tropicalismo a inizio carriera alle sonorità post moderne di “Meu Coco” (2021), l’ultimo intrigante album d’inediti che presenterà dal vivo insieme alla band con la quale l’ha immaginato e registrato.
Un viaggio sonoro attraverso il Brasile del passato, del presente e del possibile futuro, nel quale oltre ai nuovi brani ci sarà spazio in scaletta anche per alcuni classici, questi sì già immortali, del repertorio del cantautore di Bahia. Veloso torna a Roma dopo una pausa di qualche anno – le ultime volte furono nel 2015 in compagnia dell’amico e altrettanto immenso Gilberto Gil (anche lui tornerà in città a breve, il 7 ottobre, sempre all’Auditorium) e nel 2016 con la sambista carioca Teresa Cristina – con il traguardo delle ottanta primavere già alle spalle ma, aspetto ben più importante, con la visione dell’orizzonte creativo ed emozionale sempre più ampia e a fuoco.
Geschrieben von Matteo Quinzi