Una canzone o un’immagine possono colpire più di una freccia nel petto. L’unico paragone extra-musicale per provare a stimare l’assoluta centralità culturale, l’importanza socio-politica di Gilberto Gil in Brasile – e la conseguente proiezione nel resto del mondo – è quello con il fotografo Sebastião Salgado. Entrambi immensi nella propria arte, ispirati e consapevoli attraverso i decenni, portatori di sensibilità e senso di responsabilità verso le persone e i luoghi in pericolo o dimenticati, non solo nella terra natia.
Da sessant’anni Gilberto Gil rappresenta un baluardo e un maestro per chi sostiene che la musica non sia solo arte o intrattenimento ma anche la più potente forma di comunicazione, di empatia con il prossimo. Folgorato in tenera età dal bandoneon di Luiz Gonzaga e poi dalla bossa nova con João Gilberto, ma anche dai Beatles, Gil ha dato vita al tropicalismo insieme all’amico fraterno Caetano Veloso, Gal Costa, Maria Bethânia e Tom Zé e successivamente ha portato nuova linfa e coordinate alla Música Popular Brasileira.
Un magico equilibrio tra un successo globale a suon di Grammy e milioni di copie vendute e una continua esplorazione delle possibilità della musica attraverso i suoni del mondo e le collaborazioni più disparate. Parallelamente c’è stata la carriera politica, prima nello stato di Bahia, poi a livello nazionale, culminata con il ruolo di Ministro della Cultura con Lula dal 2003 al 2008. “Em Casa Com Os Gil” (2022), il suo ultimo album in studio, è una sorta di pranzo della domenica in famiglia – tra i commensali figurano mogli, figli, nuore, generi, nipoti, pronipoti… – con il quale celebra e ripercorre il meglio della sua carriera con nuovi arrangiamenti o versioni. Lo stesso accadrà in “Aquele Abraço Tour”, accompagnato sul palco da amici e familiari, Gil ci emozionerà e sensibilizzerà, provando ancora una volta a renderci delle persone migliori. “Ho sempre saputo che la musica era il mio linguaggio. E che la musica mi avrebbe fatto conoscere il mondo e portato a scoprire nuovi territori. Perché il mio è sempre stato il linguaggio della terra e del cielo”.
Geschrieben von Matteo Quinzi