Il folletto del rock è più in forma che mai. Qualche capello in meno (tanti…), quasi settantasette anni sulle spalle, una reunion, che poi reunion non è, a celebrare nel 2018 il cinquantesimo anniversario di “This Was”, l’album di esordio, Ian Anderson è i Jethro Tull. Leader della band ed unico componente rimasto della formazione originale, Anderson ha pensato bene di riconvertire il suo progetto solista nella vecchia band, arruolando i musicisti che lo avevano accompagnato nella sua avventura successiva allo scioglimento del gruppo che negli anni d’oro aveva venduto decine di milioni di dischi.
E la decisione si è rivelata più che azzeccata visto che i nuovi Jethro Tull hanno ricominciato a macinare chilometri riempiendo nuovamente stadi e teatri, fino a tornare nel 2022 nella top ten inglese con un nuovo disco, „The Zealot Gene“, uscito a ben 19 anni di distanza dal loro precedente lavoro. Considerati per lo più un gruppo progressive, i Jethro Tull hanno da sempre mescolato il rock con il folk e la musica classica, e infatti anche le scalette degli ultimi concerti comprendono tanto arrangiamenti di brani tradizionali quanto composizioni di Bach e Fauré.
Al centro del palco c’è chiaramente sempre lui, Ian Anderson con il suo flauto traverso, da sempre tratto caratteristico della band, e una voce che con il passare del tempo non ha perso molto del suo fascino. Oggi, ad esattamente un anno dall’ultima apparizione romana, tornano in Sala Santa Cecilia a presentare „RökFlöte“, disco basato sui personaggi e sui ruoli di alcune delle principali divinità dell‘antico paganesimo norreno. I dinosauri del rock stanno ormai scomparendo, continuiamo ad ammirarli e ad applaudirli finché siamo in tempo.
Geschrieben von Carlo Cimmino