Mescolanza, fusione, intersezione, confluenza. „Sélébéyone“ in wolof (lingua parlata tra Senegal, Gambia e Mauritania), significa tutto questo. Il progetto guidato da Steve Lehman, che da tale parola prende il nome, ne è una delle più convincenti attuazioni musicali dell’ultimo decennio. Qui si respira aria di terra d’Africa e l’incontro è fra il mondo del jazz sperimentale e quello dell’hip-hop, passando per il rap senegalese.
Sassofonista, compositore ed anche insegnante al California Institute of the Arts, Steve Lehman ha suonato a lungo nelle formazioni di Anthony Braxton per poi emergere come band leader dai primi anni del duemila. Fra gli ultimi lavori ricordiamo “The People I Love”, in duo con Craig Taborn, “Xenakis and the Valedictorian”, dieci pezzi per solo sax alto registrati con un iPhone SE, ma soprattutto “Ex Machina”, uscito lo scorso settembre per Pi Recordings, che lo vede insieme all’Orchestre National de Jazz utilizzare ampiamente l’intelligenza artificiale con trasformazioni elettroniche in tempo reale, ancora una volta grazie ai software sviluppati presso l’IRCAM di Parigi.
Con „Sélébéyone“ Lehman torna invece a percorrere territori per lui non così inusuali, visto che con il suo ottetto aveva già pubblicato arrangiamenti di brani hip-hop come „Living In the World Today“ dei Wu-Tang Clan o „Luchini“ dei Camp Lo. Dopo il disco omonimo del 2016, a distanza di anni esce “Xaybu: The Unseen”, che ancora una volta vede al fianco del sassofonista statunitense HPrizm, vera e propria leggenda della scena hip-hop underground di New York e membro fondatore dell’Antipop Consortium, il sassofonista Maciek Lasserre, il rapper senegalese Gaston Bandimic ed il batterista Damion Reid, membro degli ensemble di Lehman fin dal 2006.
Geschrieben von Carlo Cimmino