Finirà mai la „sad boy era“? Sì insomma, l’epoca del ragazzo androgino, leggero come una piuma, dallo sguardo perso all’orizzonte. Con la sensazione che la propria inadeguatezza sia ciò che lo rende speciale rispetto alla massa chiassosa; che la propria sensibilità sia superiore alla norma. Unica via per esorcizzarla, quella di prendere in mano una chitarra. Lasciare scorrere, lenti come gocce di pioggia su un vetro, degli accordi in tonalità minore, mentre una voce efebica strascica un bolo di liriche espressioniste.
No, pare non finire mai. Artisti come Puma Blue continuano ciclicamente a ricordarcelo. Il musicista londinese mescola soul, R&B lo-fi, trip-hop e fumanti atmosfere romantico-jazziste. Il risultato è una sorta di coraggioso pop sotto codeina, un brodo emotivo a tinte scure che culla l’ascoltatore grazie ad atmosfere sognanti tipicamente british: grigie ma intrise di grande fascino e una strana vitalità.
Non esiste giorno migliore della domenica (di un’estate che tarda ad arrivare) per godere del debutto romano dell’artista inglese. Sotto palco al Monk rispolveriamo i sentimenti e lasciamoci avvolgere con piacere dai nostri blues.
Geschrieben von Giulio Pecci