Immaginate un domani post atomico in cui il sole si è eclissato per sempre e non sorge più, buio ovunque, praterie ormai secche spazzate da vento gelido e, tra le macerie, solo pochi sopravvissuti che vagano alla ricerca di altri disperati come loro (no, non mi sono ispirata né a „Mad Max“, né a „The Walking Dead“, giuro).

Ecco, gli album dei Black Heart Procession, uno qualsiasi della loro produzione, potrebbero essere la perfetta colonna sonora di questo scenario distopico. Dopotutto non è certo per caso se i californiani – con uno dei moniker più belli mai coniati da una band – sono considerati a tutti gli effetti i capifila di un “nuovo gotico” americano.

Chiariamo, per gotico qui non si intendono deliri di pizzi e leather o personaggi con difficoltà relazionali che sembrano usciti da una versione sfigata di „Nightmare Before Christmas“, ma una tendenza generale alla cupezza in musica e liriche. Marce lisergiche che affondano nella notte della tradizione folk, echi dark, strumenti che vanno ad aggiungersi nota dopo nota e diventano un fiume da cui farsi portare alla deriva fino a raggiungere il „Cuore di tenebra“ che ci ha raccontato Joseph Conrad.