Musicista colto e non catalogabile, Daniel Lopatin, più di ogni altro compositore contemporaneo, ha affrontato questo tempo astratto, interconnesso, paradossale che stiamo abitando. «L’unica cosa in cui credo è che sono in questo perpetuo stato di incredulità», diceva qualche anno fa, intorno alla release del distopico “Age of”, concept album caleidoscopico e romantico, quasi un collage di trasmissioni perdute da una sorta di zona crepuscolare. O ancora, un album-testamento immaginato come le riflessioni sentimentali di un’intelligenza artificiale avanzata che guarda indietro alle follie dell’umanità.
L’abisso, per Lopatin, è sempre dietro l’angolo: la sua musica è un tentativo di organizzare e dare un senso a un flusso di input mediatici esterni in un realtà completamente cibernetica. Non solo musica elettronica d’avanguardia quindi, ma orbitare attorno al pop, intrappolato dalla sua inevitabile attrazione, tenendosi a sufficiente distanza. Pop inteso non solo come musica mainstream, ma un calderone di jingle pubblicitari, dialoghi usa e getta, campioni strambi, sigle di sitcom, in una ricontestualizzazione di suoni e stili, analogici e digitali, di epoche diverse.
Questo insieme astratto nella forma ma penetrante e emotivo, nella sua formulazione live, assume direzioni ancora più straordinarie. In questo 2024, il tour mondiale di Lopatin ha, in ogni data, preso direzioni diverse. Tutto viene processato e riprocessato sul palco (anche i grandi classici à la Chrome Country), mentre i video psichedelici di Nate Boyce girano sullo schermo, intervallati dagli “inserimenti” del live artist Freeka Tet. Un piccolo pupazzo con le fattezze di OPN suona e si agita su un mini-palco o club, ripreso in diretta e rilanciato sullo schermo. Forse una critica allo star system dell’elettronica, anche se l’approccio di Lopatin alla presentazione di stimoli multimediali può essere inteso meno come a che fare con il semplice intrattenimento e più con la sperimentazione senza limiti. Un’esperienza narrativa e musicale imprescindibile.
Geschrieben von Raffaele Paria