Quando un produttore di musica elettronica darkettona proveniente dalla scena post-punk danese sforna un pezzo come “Miss You” e lo propaga a macchia d’olio sui dancefloor di tutto il mondo, sta definitivamente riscrivendo un genere. Era l’anno 2006 quando Anders Trentemøller debuttava con l’album “The Last Resort”, i social network iniziavano appena a fare capolino nelle nostre vite e sfondare come artista significava finire nelle valigette dei dj più importanti al mondo, non in una fortunata playlist su Youtube. Da allora, Trentemøller ha rappresentato un punto di rottura in tutti i generi che ha toccato: nella microhouse, che capivano in pochi e apprezzavano in pochissimi, ha piazzato dal nulla una hit come “Polar Shift”. Nel trip hop, senza disdegnare la techno più mainstream, ha fatto irruzione con una traccia meravigliosa come “Take Me Into Your Skin”. Nel 2016 si è spogliato della sua anima clubbing per dedicarsi completamente alla dimensione del live, sia in studio che sul palco. Musica suonata, musica scritta con voce e accordi. Chitarra, basso, batteria e svariati synth nella formazione che vede coinvolti quattro rodati compagni d’avventura, tra cui Marie Fisker al microfono e l’artista Andreas Ermenius, che ha curato la cover di “Fixion” e lo stage design del relativo tour. È così che ci appare oggi il ragazzino prodigio della minimal house, direttore di un’orchestra contemporanea che si muove costantemente in bilico tra rock, electro e IDM. Più vicino ai Darkside che a quel Steve Bug che lo lanciò. Prendere o lasciare: non c’è artista più affascinante di quello in grado di evolvere verso il suono che più lo rispecchia, anche a costo di affrontare cambi di rotta improvvisi e repentini. È la mancanza di qualità a stancare, mai la varietà. E a noi introspettivi questo cambio di rotta piace tantissimo.
Geschrieben von Irene Papa