Mascherarsi non è certo una novità nella storia della musica. Dai Daft Punk, di cui, però, si è sempre saputo l’identità, a Liberato, che invece resta avvolto in un’aura di mistero, sono molti gli artisti che hanno scelto di coprire i volti per alimentare l’enigma e lasciare spazio alla loro arte.
A questa tradizione si aggiungono i Glass Beams, trio senza volto di Melbourne, che ipnotizza con una fusione psichedelica di rock, groove e sonorità tradizionali indiane. Nel loro caso, i volti coperti con maschere dorate – coerenti con l’estetica visiva e sonora – hanno certamente contribuito a creare un alone di curiosità intorno al progetto. Per molto tempo, infatti, nessuno sapeva chi fossero davvero.
Solo alla fine dello scorso anno il fondatore Rajan Silva ha deciso di rendere pubblico il proprio nome, mantenendo comunque un profilo elusivo. Anche il loro arrivo a Roma sfugge ai percorsi convenzionali. Ospiti del Locus Festival, i Glass Beams non scelgono il centro città, ma il Teatro di Ostia Antica, una location “esotica” che riflette l’esperienza che intendono offrire. Un live avvolto da hype, dove l’anonimato aggiunge fascino, ma, come a volte fortunatamente accade, sarà loro musica a lasciare davvero il segno.
Geschrieben von Aureliano Petrucci