Difficile descrivere la sensazione di una che come tante che nel 2025 hanno 30 anni ha attraversato la sua adolescenza per mano ai due/tre dischi che hanno fatto risuonare una generazione che si ritrova a sentire per la prima volta un concerto di Fabri Fibra al forum di Assago, al suo undicesimo disco, consacrato nella macchina musicale del rap italiano di oggi, che non è quello di ieri. Non lo è in termini di fruizione, significato, collettività, muovendosi fra le derive della trap e il concetto di urban, che in maniera diversa strizza l’occhio alle ramificazioni che il pop sta sempre più vagliando.
E così mi ritrovo lì, in uno spazio dedicato ai concerti di quelle e quelli che ce l’hanno fatta nella musica, che staccano biglietti a tripla cifra, hanno una platea di gente a cantare a cappella i ritornelli, a cantare gli Uomini di Mare guardando il ragazzo che sognavo alle superiori e con cui mi immaginavo di accendermi un colonnello (non mi capisci? Compra un vocabolario marchigiano).
C’è da dire che probabilmente – o forse mi piace immaginarlo – queste questioni se le pone ancora anche Fabri, considerando i testi intrisi di paranoia che mi hanno fatto immaginare Senigallia come una via di mezzo fra una specie di East London in cui si mangia bene e una provincia noiosa in cui misteriosamente c’è stile. Il pubblico che si trova davanti si divide abbastanza precisamente fra chi si alza in piedi da Squallor in poi, chi si alza fino a quel disco e qualcuno che ha tenuto il passo con tutto. Lui dà uguale attenzione a entrambe le frange, tra medley di tre tracce che chiude alla seconda strofa lasciandoci a bocca asciutta e pezzi interi, offrendo una retrospettiva il più esaustiva possibile del suo percorso.
I cambiamenti nei beat, nel grip delle barre, nei temi appaiono evidenti ora che le tracce sono tutte lì, una a fianco all’altra. Nel bene, nel male, nel maturare all’interno di un genere che sembra confinato a un pubblico giovane e periferico mentre io sono sempre meno entrambe le cose (e lui, anche meno). E’ un discorso vecchio come il mondo, quello del rap destinato ad esaurirsi man mano che si cresce. Ma è anche un discorso vecchio come il mondo quello del concetto di crescita lineare da un certo punto di vista.
Eppure, c’è un quid nella figura di Fabri che intergenerazionalmente continua a irretire a pari generi generazioni dai background e dalle sensibilità diverse, accedendo a una parte della loro intimità in modi misteriosi. Più i palchi diventano larghi più la comunicazione fa fatica ad essere diretta. Eppure, quel mix di rabbia, confusione, lucidità e tenerezza che convivono dentro chi sente troppo continua ad arrivare anche a lato delle hittone contemporanee che nascondono sempre degli easter eggs per chi li sa ascoltare.
Nella gag, ho chiesto a chat gpt se questo significa non maturare mai: forse il pov di una intelligenza dalla sensibilità calcolata coi numeri mi può dire qualcosa di più della mia mente ammalata di nostalgia: mi dice che accettare l’irrisolvibilità della propria sensibilità è già un atto di crescita. Grazie AI. Senti di mare i midi è logico che sorridi….
Geschrieben von Carlotta Magistris