Con un’inaugurazione lunga un giorno intero, festosa e affollata, ha aperto pochi giorni fa il quinto ciclo di Pensare come una montagna – Il biennale delle Orobie, che ormai giunge a conclusione con la riapertura nel 2026 della GAMeC in una nuova sede (perciò le opere e le mostre realizzate per questo ultimo capitolo sono visitabili fino al 18 gennaio 2026). Il progetto complessivo, curato dal direttore di GAMeC Lorenzo Giusti e Marta Papini, insieme alle curatrici Sara Fumagalli e Valentina Gervasoni, ha dimostrato la permeabilità del territorio bergamasco agli input del museo che, d’altra parte, ha avuto così la possibilità di costruire una rete capillare e diffusa di relazioni con le comunità locali, anche piccoli gruppi radicati in isolati luoghi di montagna. L’arte contemporanea, lungi dal prendere corpo in astratto, si esplicita agli occhi del suo pubblico che così può seguire da vicino, nel proprio paese, lo svolgersi della sua concezione, produzione ed esposizione, in un processo che sembra dare finalmente valore alle parole “partecipazione” e “coesione” sociale.
Pensare come una montagna è anche il titolo della traduzione italiana (uscita per Piano B, 2019) di un importante libro del 1948 di Aldo Leopold, studioso e docente all’University of Wisconsin, in cui si mescolano perfettamente scienza e poesia. In questa bibbia dell’ambientalismo moderno, “almanacco” mensile pieno di racconti e riflessioni, Leopold mette a fuoco il concetto “land ethic”, un invito a vedere la Terra come una comunità vivente e non come insieme beni da utilizzare, appunto.
Il mio tour inizia dalla Val Taleggio, dove Gaia Fugazza (1985) ha costruito Mother of Millions, scultura figurativa in terracotta di grandi dimensioni, un corpo asessuato come il nome che cita la pianta succulenta omonima, che si riproduce replicando dei cloni dal margine delle sue foglie. Sulle sue possenti braccia aperte crescono, come germogli, piccoli esseri umani di cui la pianta-madre si fa carico. Simbolo di capacità rigenerativa e trasformazione, ma anche di cura. Si può visitare per i primi tempi nella Stalla Gherba a Sottochiesa (che ha delle bellissime aperture panoramiche sulla valle) dove l’artista ha passato un periodo di residenza estiva grazie alla collaborazione con NAHR – Nature Art & Habitat Residency, poi verrà trasferita nelle sale della GAMeC.
Poco distante, nella chiesa sconsacrata di Santa Maria in Montanis a Gerosa, all’inizio della confinante Val Brembilla, Bianca Bondi (1986) ha allestito l’opera Graces for Gerosa, realizzata grazie al coinvolgimento attivo della comunità locale. Bondi ha ripensato all’iconografia cristiana, ma soprattutto pre-cristiana e mitologica (pensiamo alle grazie) in cui figure danzanti davano vita a rituali estatici, di preghiera o funerari, in tempi in cui la danza sembrava capace di mettere in relazione il terreno con il divino. Così l’antica chiesa romanica, dove sopravvive un lacerto di antico affresco e una deliziosa tinta azzurra sui pilastri, si è popolata dei calchi in gesso di sette corpi di altrettanti abitanti della Valle, riuniti in una danza devozionale fittizia e magica, una forma di spiritualità al tempo stesso intima e collettiva.
A pochi minuti di automobile, nel comune di Almenno San Bartolomeo, Agnese Galiotto (1996), già partecipante al terzo ciclo della Biennale delle Orobie con il film Migratori, ha dipinto l’affresco figurativo ma fantastico La montagna non esiste, titolo con cui intende farci pensare a come la montagna sparisca quando ci si vive quotidianamente, così come non esiste per gli uccelli migratori, che la circumnavigano senza problemi. L’affresco si colloca su una parete di cemento, precisamente progettato per proseguire il profilo dei monti alle sue spalle, se lo si guarda dal centro del piazzale antistante. Risuonano altri legami con l’ambiente in cui si inserisce: si notano grandi aloe, una vera e una dipinta, così come tante gazze ladre vere che svolazzano intorno alle loro simili dipinte, insieme ad altri esemplari di volatili locali.
Nel giardino della Fondazione Dalmine, nell’omonima località, l’artista messicano Abraham Cruzvillegas presenta l’opera An unstable and precarious self-portrait munching some traditional Fritos, sipping a couple of caballitos of Casa Dragones, after a busy journey with some dear friends, listening at the same time to the ‘Clair de lune’, performed by Menahem Pressler, and ‘Folie à Deux’, by Stefani Joanne Angelina Germanotta che vuole indurre a riflettere sull’illusione di un infinito progresso economico-commerciale, attivato nei giorni di inaugurazione dal performer e musicista Dudù Kouate. Cruzvillegas ri-utilizzato carriole da lavoro e lunghi pali, costruendo tre “bandiere” verdi e rosa, incrociate in un’installazione che punta al cielo, ricordando anche una giostra con i sedili che volano in cerchio.
A pochi chilometri da Bergamo, nella Valle della Biodiversità di Astino, in collaborazione con l’Orto Botanico “Lorenzo Rota” di Bergamo, l’artista spagnola Asunción Molinos Gordo ha progettato il workshop Crops Are Not Orphans, che significa letteralmente che i raccolti non sono orfani. Questo poiché invece, nel gergo dell’industria agro-alimentare, i “semi orfani” sono quelli non utilizzati poiché non significativi per la ricerca o privi di proprietario. Spesso sono tuttavia semi legati a particolari tradizioni locali o familiari, di coltivazione e cucina, portatori di valori relazionali ed emotivi. Dunque, a partire dall’archivio dei semi custodito dall’Orto, l’artista raccoglie e condivide le storie ad essi legate, proponendo una riflessione collettiva sulla capacità dei semi di generare legami affettivi e alimentare il senso di appartenenza. Il progetto si concluderà con una restituzione visiva nelle sale della GAMeC.
Sale dove si conclude la giornata, che già ospitano ospitano TEN, mostra antologica dedicata ai dieci anni del collettivo Atelier dell’Errore – AdE (laboratorio di arti visive dedicato ai bambini neuro-divergenti fondato dall’artista Luca Santiago Mora), racconto della loro storia attraverso i nuclei più rappresentativi delle loro attività, molto ancorata al disegno, tuttavia qui presentato anche in dimensioni e installazioni monumentali di particolare efficacia e suggestione. Sempre alla GAMeC trova spazio il grande dipinto Becoming Mountain di Pedro Vaz, ispirato al paesaggio montano della Presolana già dipinta da Ermenegildo Agazzi a inizio del secolo scorso (anch’esso esposto oggi all’ingresso della GAMeC).
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L’inaugurazione dell’ultimo ciclo del programma sarà l’occasione per riattivare alcuni degli interventi artistici realizzati nel corso dei due anni del progetto: un’iniziativa che conferma l’impegno della GAMeC nel coinvolgimento attivo delle comunità locali e nel valorizzare l’arte come strumento di partecipazione e coesione sociale, in continuità con quanto sviluppato nell’ambito di Pensare come una montagna – Il Biennale delle Orobie.
Geschrieben von Irene Caravita