Immagini di alberi avvolti nella notte, tombe e statue proiettate alle pareti, figure incappucciate che vagano tra il pubblico, bare di legno sparse nello spazio della Fabbrica del Vapore, suoni lugubri e luci soffuse accolgono gli spettatori in un cimitero. È in quest’atmosfera che SONS: ser o no ser, l’ultima creazione de La Fura dels Baus, la folle compagnia catalana, ha inizio.
La storia è quella di Amleto, un soggetto conosciuto, un pretesto per parlare di consumismo, di plastica e acqua, di terra e di un’umanità autodistruttiva. Da subito è chiara la metafora: sono tutti morti, e forse lo siamo anche noi, colpiti da un virus che non lascia superstiti. E così, nella sala Cattedrale, volano i performer de La Fura, volano i pensieri di un Amleto zombie. Gli attori, grazie a un intricato sistema di funi e carrucole, si librano sopra gli spettatori, per metà liberi e per metà incatenati, esseri di un altro mondo, trasfigurati. La regia di Carlus Padrissa rilegge – ambientando in un oltretomba della società contemporanea – ogni elemento dell’opera shakespeariana: il padre, un angelo della morte, ordina vendetta al figlio, che nasce in un mondo che non ha abbastanza ossigeno per farlo sopravvivere; Ofelia, che si annega in una teca trasparente davanti a una piazza che la guarda, è simbolo di questa società moderna che non lascia respirare, dove ogni atto, dalla nascita alla morte, deve essere spettacolarizzato, reso pubblico, visto e commentato. È finita l’età dell’oro ed è iniziata quella della plastica, che controlla le leggi di mercato e porta gli uomini alla compulsività del consumo verso un baratro inevitabile.
Forse è tutto un sogno, una favola nera che al risveglio scompare, in cui i morti tornano alla terra e diventano argilla, statue, simbolo di un passato volto a ricordarci di cosa siamo fatti.
È sull’orlo di questo precipizio che La Fura tirando un sipario nero e dividendo il pubblico in due parti crea un doppio spazio. Ciò che accade dall’altro lato non si può vedere realmente, ma viene trasmesso sul telo grazie all’intricato gioco di telecamere governate dai performers – cifra stilistica della compagnia – video di gente che balla, che mangia, alternati a immagini di noi stessi, spettatori, proiettati. E ci si chiede immediatamente: qual è la realtà? Siamo dalla parte sbagliata della festa? O forse è tutto un sogno, una favola nera che al risveglio scompare, in cui i morti tornano alla terra e diventano argilla, statue, simbolo di un passato volto a ricordarci di cosa siamo fatti.
SONS è un grido ai figli, a chi lo è ancora e a chi lo è stato, un urlo di risveglio verso le responsabilità di tutti, che non arrivano dalla vendetta dei padri. La compagnia di Barcellona, fondata nel 1979, famosa per le sue scenografie umane, per le proiezioni in videomapping e per mettere in scena sogni e pensieri più folli, è oggi un pezzo di storia del teatro, ma riesce ancora e ancora, a sorprendere, inserendosi nella contemporaneità e tenendo a bocca aperta gli spettatori.
Geschrieben von Francesca Rigato