Non mi è mai piaciuto Oscar Wilde. Ho sempre pensato che fosse uno di quei cliché letterari imposti dalla società per indirizzarti verso una vita da borghese pantofolaio. Trovare il bello nell’ipocrisia umana, in un’etica bugiarda e superficiale. Una cosa giusta nella sua vita però l’ha sicuramente detta: «Ogni uomo mente ma dategli una maschera e dirà la verità». E con la sua maschera Sherard Ingram – aka Dj Stingray – la verità musicale (e non) ce l’ha sempre spiattellata dritta dritta in faccia. Ha aperto il sipario sul teatro quotidiano della vita di Detroit, raccontandoci la sua realtà: una città tanto difficile quanto piena di energia. Attento alle nuove espansioni e contrazioni musicali date dai nuovi flussi culturali, si è sempre battuto per annientare il sentimento di essere parte del „capitale umano“ di un economia in fase di pericolosissima recessione culturale, sottolineando, invece, l’importanza dell’identità di ciascuno. Stingray ha fatto la storia ed essa non si ripeterà. Non ricapiterà un’artista con la sua stessa etica mistica, con il suo suo sound detroitiano profondo, rivelatore ed umano.