Prima che parlare di cibo diventasse una cosa di interesse per le riviste fighette, quelle per cui “segui i consigli per un brunch trendy” e “tutte vogliono Cracco”, David Foster Wallace ne aveva percepito anni fa il fascino narrativo. Sì, proprio lui. Il Wallace di Infinite Jest, il mattone illeggibile (a meno che non ci si sia avvicinati alla sua scrittura gradualmente, e allora sì che ce lo si può godere) che sicuramente avrete comprato e abbandonato dopo poche pagine. Il saggista e scrittore raccontava le fiere rurali dell’Illinois con acutezza e ironia: trattori a etanolo, bionde signore oversize, pesa di vacche pezzate, corn dog e pollo fritto luccicante.
Lo Streeat Food Festival è qualcosa che gli assomiglia e di cui il caro David non si sarebbe fatto scappare l’occasione di parlarne. Perché se è vero che l’Italia non è l’Illinois, il grano non „cresce alto come un uomo alto“ e i tornado non sono all’ordine del giorno, al festival i “trattori” ci sono e li chiamiamo camioncini e le signore, un po‘ meno oversize, parlano i dialetti della penisola. Anche se il mio paragone può sembrarvi lontano dagli scenari del midwest, il cibo vi farà avere una visione più chiara di ciò di cui sto parlando. Lo Streeat Food è la fiera del cibo popolare, di strada, democratico e calorico. Le friggitrici rombano, le salse schizzano, le mani si sporcano per poi essere leccate e pulite sui jeans (neanche troppo di nascosto). Niente cappelli da cowboy, o tiro del martello: questa è la fiera del nostro cibo nostrano, delle pizze ripiene e della carne rovente. Niente fighettismi o chef da copertina: lo Streeat Food Festival parla come magna. E David con noi, almeno nel cuore, a benedire l’aspetto più primitivo del cibo: la fame.