Accade che le piccole mostre siano preziose anche quando non suscitano il clamore dei media e del pubblico. La mostra al Museo del Novecento curata da Iolanda Ratti (con una prosecuzione allo Studio Museo Francesco Messina a cura di Eleonora Fiorani) è una di queste, pur lasciando trapelare una difficoltà di mezzi, fa quello che un museo come questo dovrebbe fare: acquisisce un’opera – “How do you feel?” del 1971- da una donazione del 2014, la presenta al pubblico contestualizzandola nell’ambito della ricerca dell’artista e storicizza un lavoro guardandolo con distanza critica nel tempo.
Amalla Del Ponte è un’artista che forse le generazioni più giovani non conoscono, ma che merita di essere studiata, prima di tutto a Milano. I suoi studi sulla rifrazione della luce risalgono alla metà degli anni Sessanta e a buon diritto credo possano rientrare in quel clima nazionale e internazionale nel quale aleggiavano le pratiche dell’arte cosiddetta programmata e delle ricerche sulla percezione visiva, pur non essendosi mai legata ad alcun gruppo – da ricordare che nel ‘59 nascevano il Gruppo T a Milano e il Gruppo N a Padova e poco più tardi sempre a Milano si costituì il MID nel ‘64. Non a caso l’opera con cui vinse il Premio Internazionale per la Scultura alla Biennale di San paolo nel 1973 s’intotilava “Area Percettiva”.
L’artista milanese classe 1936 ha studiato con Marino Marini a Brera e nell’ambito della sua ricerca artistica ha lavorato molto sui materiali e con la scultura, al punto da renderla per paradosso quasi immateriale, la presenza spesso ingombrante almeno idealmente di ciò che pensiamo come scultura ha lasciato spazio alle trasparenze e rifrazioni del plexiglas (dal 1964 realizza i primi “Tropi”) o addirittura alle onde sonore, come nel caso dei Litofoni, lastre di pietra intonate e realizzate per essere suonate a percussione (le ssuonò anche Davide Mosconi), come è accaduto la sera dell’inaugurazione davanti a un pubblico ipnotizzato.
Geschrieben von Angela Maderna