Eccoci a cena da Mirta, Riccardo e io per una serata di confidenze. L’argomento di stasera è di quelli molto privati, così privati che probabilmente non interessano a nessuno: il free jazz inglese.
Ci piacciono molto i pavimenti in graniglia rossa e i tavolacci di legno e anche le sedie sono proprio da osteria, con una seduta impagliata e la verticale sporgente: perfetta per appenderci la giacca.
Il menu è piuttosto ricco: abbiamo l’imbarazzo della scelta. Optiamo per due portate e forse un dolce. Decideremo alla fine. Questa settimana niente palestra. Troppo lavoro e troppe cene a cui non sappiamo rinunciare.
Riccardo è piemontese, di quelli veri, non di quelli che vivono a Novara. Esperto di vini, sceglie un rosso siciliano. „Allegracore“. Che nome meraviglioso! Un vitigno autoctono, il nerello mascalese. Cresce sulle pendici dell’Etna. L’etichetta è disegnata da Luca Vitone: dovrò raccontarlo a Francesca Pennone della galleria Pinksummer di Genova. Proprio oggi mi ha detto che verrà presto a trovarmi.
Riccardo ha scelto alla grande: la vellutata di castagne e zucca è un connubio davvero perfetto, una specie di ritratto dell’autunno. I porcini cotti al salto (ovviamente piemontesi) la completano alla grande. Il piatto migliore della serata: qualunque cosa accada, questo è davvero insuperabile.
La mia parmigiana di melanzane in crosta con succo di pomodoro di Torre Guaceto non è niente male. Vorrei che la crosta non finisse male mai, ma in questo caso è inutile grattare: purtroppo non si riforma.
Riccardo tira fuori un pacchetto. È sempre così premuroso e io gli sono davvero grato: mi regala un disco di Evan Parker. Stanotte ho qualcosa da ascoltare. I miei vicini non saranno così contenti.
Arrivano i secondi: il cappone ripieno di salame con marroni e puré di patate, al contrario di quanto state pensando, è un piatto leggero e molto delicato. Dall’altro capo del tavolo appare un galletto arrosto, sempre con purea di patate.
Mi guardo intorno: c’è un bel quadro di Jonathan Guaitamacchi, di quelli iperrealisti che faceva dieci anni fa. Di solito mi lascia indifferente ma questa vista di Milano da Turro, quasi fotografica e in una giornata di primavera, mi emoziona assai: è la Milano di qualche anno fa, prima che la destra grattacielara chiamasse le archistar a disegnare uffici ai piani alti. Camillo Langone lo amerebbe moltissimo.
Vorremmo sottrarci ai dolci ma la lista è davvero interessante. Ne ordinerei almeno tre ma alla fine scelgo la terrina gratinata di veneziana e mele (che mangio solo a metà, solo per riguardo alla linea), mente Riccardo prende un’incredibile crema di marron glacé, panna montata, meringa e gelato alla crema. Ci concediamo un Malvasia delle Lipari: mi ricorda le vacanze a Stromboli e ci consente di restare sul tema vulcanico.
La panza preme sulla camicia, la serata è stata piacevole. Facciamo altre chiacchiere. Il conto è buono. Dovremo ritornare. Tra qualche mese mi trasferirò a pochi passi da qui: è bello sapere che vivrò a pochi passi dalla Trattoria Mirta.
(Articolo di Corrado Beldì)