Da Gattò è bello andarci quasi tutte le sere, anche il lunedì quando Barnaba organizza dei concerti molto curiosi. Mi piace un sacco via Castel Morrone, con gli alberi che a una certa ora istigano il resto della città al silenzio. Mi piace moltissimo quella parte della via. Proprio di fronte al ristorante, c’è la più bella lapide di tutta la città: ricorda che in quella casa visse Umberto Boccioni e tra le fredde mura dipinse se stesso, la madre, la gente e la città che sale. Mi piace un sacco l’insegna al neon, che mi mette subito di buon umore e così anche la prima stanza dove di giorno si vendono tantissime cose, anche se non ho esattamente capito di cosa si tratta. Mi piace restare proprio lì, vicino all’ingresso, a guardare fuori dalle vetrine, perché l’atmosfera è più silenziosa e c’è anche un bel tavolo di legno ideale per cene conviviali.
Stasera sono da Gattò per un tète a tète col mio amico passatista, fotografo, direttore d’orchestra e gran affabulatore. Ci troviamo per un’intervista ed è il posto ideale per condurla: nessuno ci disturba e possiamo chiacchierare in tranquillità. Come già suggerisce il nome del ristorante (gatto o gateau?), i proprietari sono dei veri burloni, nello specifico napoletani, che adorano come me i giochi di parole.
Visto che poco fa abbiamo bevuto un Martini, in un bar non troppo lontano da qui, in memoria di Ernest Hemingway dobbiamo per forza ordinare Per chi suona la Campania, piatto di latticini freschi di bufala serviti con pomodorini sott’olio e foglie di basilico. Un piatto tricolore, insomma. Sarebbe piaciuto molto a Benito Mussolini che molte sere si rifugiava proprio in questo palazzo, al primo piano, fuggendo di nascosto da donna Rachele, per incontrare la meravigliosa Angelica Balabanoff, prima che fuggisse in Russia a far bisbocce con Giuseppe e Vladimiro.
Il mio amico si butta sui primi e non resiste a Aragusando mio, vero ragù rosso napoletano preparato secondo la ricetta di famiglia con agnello, manzo e vitello cotti insieme per ore in salsa di pomodoro fino a sbriciolarsi. I fusilli hanno una cottura perfetta. Continuando all’insegna del buonumore, consigliamo anche Musica in Sardinia (ci devo venire con Paolo Fresu) e Balla coi lupini (che mi fa pensare moltissimo ai Malavoglia).
Hanno ragione i proprietari a scrivere che il menu è alquanto casalingo, infatti non cambia così di sovente, procede secondo le stagioni, eppure posso dire di non essermi mai annoiato. Sarà merito anche delle luci e degli arredi e di un’atmosfera che in generale mi fa sentire proprio a mio agio. Tra l’altro c’è un buon rapporto qualità prezzo (antipasti € 9-13; primi € 14-16; secondi € 20-22; dolci € 6-8) ed è del tutto inutile scrivere che ci torneremo: da Gattò siamo degli habitué.
Tra i secondi, per la precisione nel gruppo Fuori i secondi, scelgo una Spigola arrotondata mediterranea cotta in forno e servita su un letto d’erbette già provata in passato e davvero deliziosa. Il Maestro ordina un Vanvitello, spalla cotta sottovuoto, molto a lungo, a bassa temperatura e servita con un insalatina di carciofi. Sembra molto soddisfatto: l’attesa del vitello non è stata certo vana. Al primo boccone arriva la donna più meravigliosa al mondo, siede con noi ed assaggia mezza spigola. Mi guarda. Avevamo un appuntamento. Sono in terribile ritardo. Il Maestro ha parlato moltissimo, dovremo pubblicare l’intervista in due parti.
Ottimi i dolci, soprattutto A gonfie mele, millefoglie di mele in pasta sfoglia al profumo di cannella e zucchero di canna. Noi ci facciamo aggiungere una palla di gelato e non ci basta nemmeno, così ordiniamo anche un Biko, un tortino caldo, ovviamente di cioccolato, col cuore morbido. Stephen Biko sarebbe felice di questa dedica. Soprattutto di essere ancora tra noi. Sempre nello stesso gruppo di suggerimenti, un frullino di pere al profumo di cannella, che ha il nome più bello tra tutti i piatti del menù, ottimo per chiudere questa recensione: …ed è subito pera!
Corrado Beldì