Milano è una città di contrasti sorprendenti, dinamica e complessa, specialmente per i giovani. Tra gentrificazione, affitti proibitivi e una crescente omologazione culturale, ci sono luoghi e tendenze che in opposizione a questo hanno generato una trasformazione notevole negli ultimi anni, attirando chi cerca un’esperienza più genuina e diretta, soprattutto nell’ambito della gastronomia e del bere.
Nel cuore di questa metamorfosi urbana, abbiamo puntato i riflettori su una componente fondamentale della città milanese: i bar. Non solo luoghi di incontro e di socializzazione, ma veri e propri indicatori dei cambiamenti culturali, sociali ed economici della metropoli.
Attraverso una serie di interviste mirate, si è rivelato come i bar non solo riflettono, ma influenzano l’evoluzione della città. In questa indagine, un fil rouge automatico, quasi ovvio, ha attraversato la nostra piccola indagine: il Fernet-Branca che, legato a Milano da oltre un secolo, è diventato lo strumento per esplorare i mutamenti nei gusti delle diverse generazioni, fungendo da specchio delle evoluzioni culturali della città.
Porta Venezia e Dirty
Porta Venezia è un quartiere dall’anima libera e poliedrica: di giorno è snob e borghese, di notte zona sfacciata e sensuale, un vero palcoscenico di feste. Una specie di incarnazione d’amore, nonché simbolo della cultura queer e della comunità LGBTQ+. Dai Bastioni il quartiere si estende in tutte le direzioni, idealmente tagliato da Corso Buenos Aires. Grazie al suo spirito inclusivo e alla sua natura camaleontica, si afferma come un luogo dove la convivenza pacifica di stili e situazioni diverse è la norma.
Proprio qui si ritaglia uno spazio il Dirty, un locale che abbraccia questa sincerità insieme alla voglia di fare le cose in modo semplice: senza fronzoli e dritti al punto. Nato nel 2023 dalla collaborazione di Mario Farulla, Carola Abrate e Gigi Tuzzi, è lo stesso Mario a dirci il perché del Dirty: «Volevamo coprire uno spazio vuoto con un late-night bar che offre ristoro fino a tardissima notte, anche per chi, come noi del settore, stacca tardi e non sa mai dove andare».
Il Dirty, infatti, dà il benvenuto a tutti fino alle 4 del mattino. Ad accogliere, in una città che spesso chiude le serrande ore prima, è un’atmosfera dark e underground, luci toni rossi del locale, pareti dall’estetica del cemento grezzo con un chiaro rimando all’architettura brutalista, il tutto a firma di Nick Maltese Studio, con due sale decorate dai graffiti di Vincenzo Vitolo. «Milano è molto targettizzata. La maggior parte delle persone scelgono locali che puntano alla fighettaggine, al finto lusso. Noi invece volevamo fare tutto il contrario, con un locale che riportasse il bar alla sua essenza: quella di luogo di aggregazione, inclusivo e non esclusivo. Il Dirty nasce proprio per questo, per accogliere una fetta sommersa di mercato fatta di persone normali che non possono spendere 300 euro a sera, o sciabolare champagne costosi», dice Mario, che ha da dire anche sul Fernet. «Il Fernet si sposa perfettamente alla miscelazione, anche perché quella tradizionale italiana vive di parti amaricanti con cui i bartender possono giocare tranquillamente, in sostituzione, per calibrare i propri twist o semplicemente come aggiunta a drink per dare una nota più erbacea, più bitterina che li rende anche più di lunga bevuta. Sicuramente il consumo principale al momento, che è anche il nostro core-business, deriva da quello degli operatori della notte, persone che hanno un palato già allenato e curioso rispetto a determinati sapori che magari il palato medio cerca».
Quartiere Lambrate e Unseen
Lambrate è un luogo di sorprendente trasformismo, con un’identità oscillante tra distretto artistico e del design e polo notturno. Questo dinamismo ha qualcosa di miracoloso, come dimostra anche la presenza de la Cappelletta, sito religioso che risale a 1500 anni fa ed è sopravvissuto ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Un quartiere che è un mix di contrasti, dove il vino consumato al tavolo si incontra con birre bevute casualmente per strada. Il leggendario Parco Lambro è un altro punto di ritrovo, con i suoi spazi verdi frequentati da sportivi, skaters e sognatori. Un pezzo della vita urbana si concentra poi intorno alla stazione, perno per lavoratori e studenti. D’altronde Lambrate è un microcosmo dove l’anima urbana e quella periferica di Milano si intrecciano, e a sentirsene autore è anche l’Unseen, locale che strizza l’occhiolino a una nostalgia sci-fi anni Novanta, dove la clientela parla di healthy e sostenibilità, centri commerciali e cultura j-pop. «Lambrate è cambiata moltissimo», ci racconta Milo. «Sono arrivate nuove realtà che hanno rinnovato l’offerta e lo stile comunicativo del nostro settore. Inizialmente il quartiere era legato a valori come la tradizione e l’artigianalità, che vengono espressi in un linguaggio di “contemporaneità”, “internazionalità” e “modernità”. Unseen, il mio brand, parla un linguaggio assolutamente internazionale, quasi futurista. Sono stato uno dei pionieri che ha dato modo a Lambrate di aggiornarsi. Non ho assecondato nessuna richiesta; mi sono stabilito qui con il mio messaggio e la mia identità, e poi è stato al pubblico capire e apprezzare la diversità che si è generata in un panorama che ora offre anche delle alternative».
«C’è solo una domanda da farsi quando si vuole fare impresa», continua Milo: «Perché lo vuoi fare? Se la risposta è per i soldi, allora non cambierà mai nulla. Se invece la risposta riflette una necessità di espressione o il desiderio di migliorare il quartiere, allora sì, hai le carte in regola per cambiare la tua realtà e quella della città. È una scelta che non tutti siamo tenuti a fare, ed è assolutamente legittimo». Milo ci parla poi di The Night-Shift, «un gruppo di supporto che io, Mario Farulla e Anastasia teniamo ogni mese per affrontare problemi del settore. È aperto a tutti coloro che operano in questo ambito. Lo facciamo una volta al mese, alle tre di notte da me. È un dopolavoro, un progetto che mi auguro continui a crescere e diventi un punto di riferimento per il nostro settore». Parlando del Fernet-Branca, Milo riflette su un altro parallelismo: «Il mio brand riflette a pieno i valori della sua trasformazione comunicativa. Ne prevedo un futuro in cui il Fernet-Branca sarà una componente insostituibile e fondamentale di nuove ricette e template innovativi».
Quartiere Navigli e Doping
I Navigli di Milano incarnano l’essenza vibrante di una città che sfugge a un’identità univoca. In questo quartiere, la monotonia è esclusa e la diversità domina. Qui si trova una varietà eclettica di persone, dagli studenti ai corridori che apprezzano le fresche mattine fino ai ciclisti che esplorano le campagne vicine. Ogni angolo narra di rivolte culturali e di festività che hanno dato vita al celebre Fuorisalone, simbolo della capacità del quartiere di reinventarsi continuamente. Il nostro bar nel quartiere è il Doping, aperto nel 2016 all’interno del luxury hotel Aethos. Grazie a un team di bartender con esperienza internazionale, offre un’atmosfera ispirata ai club sportivi e cocktail su misura, con un invito costante a provare il nuovo.
Nicola ci racconta: «A Ottobre 2025 il locale compirà 11 anni. La sua identità si è sviluppata grazie alla sua presenza un po‘ celata, che stimola la curiosità di chi passa e lo invita sottilmente a entrare». Sarà perché dall’esterno se ne intravede l’atmosfera arricchita da mobili, quadri e altri numerosi oggetti d’antiquariato accuratamente selezionati dal proprietario, nei suoi viaggi intorno al mondo. Dai modellini del Titanic a bauli originali Louis Vuitton della fine dell’Ottocento e addirittura uno struzzo impagliato, ti fanno compiere un balzo nello humor inglese. La stessa meticolosità e attenzione alla qualità si riflettono anche nel menu del locale, che include sia cocktail classici che reinterpretazioni originali. E quando abbiamo chiesto a Nicola di condividere le sue impressioni sul cambiamento a Milano, ci ha confermato: «Sì, e ha portato a un grande rinnovamento della clientela e anche del suo gusto, delle sue abitudini. A livello di uscite, di cocktail che preferisce, quel che le persone bevono oggi è completamente differente rispetto a quello che bevevano ieri, con alcune eccezioni di alcolici ormai radicati nelle abitudini di consumo. Noi non respingiamo mai i trend, anzi ci impegniamo per svilupparli». Al Doping il Fernet-Branca è valorizzato per il suo forte legame con la tradizione e la cultura milanese e viene offerto a clienti che lo richiedono sia liscio che miscelato nei cocktail. Questa filosofia si riflette nel loro menù, dove spicca un signature cocktail a base di Fernet-Branca, il Tango, il quale, come ci tiene a precisare Nicola, è ancora oggi il più richiesto. «Trae ispirazione dall’Argentina, riflettendo la nostra lista di cocktail che omaggia le danze popolari di tutto il mondo. È composto da gin ai limoni, Fernet-Branca, Falernum, tè mate e cola, arricchito da un’aggiunta di CO2. Come tocco finale, aggiungiamo una guarnizione – una caramella al Fernet e Cola – che strizza l’occhio al Fernandito. È un cocktail fresco, piacevolmente bevibile e dissetante,“ ci spiega Nicola.
Quartiere Bicocca e Dandelion
In passato, la periferia di Milano, così come quella di molte altre metropoli, era caratterizzata da un denso tessuto industriale, popolato da fabbriche e stabilimenti chimici. Il quartiere Bicocca non faceva eccezione, avendo vissuto una trasformazione da residenza aristocratica a fulcro industriale con l’arrivo della Pirelli agli albori del Novecento. Negli anni Ottanta, il progetto di ristrutturazione urbana, guidato da Vittorio Gregotti, ha riconfigurato il quartiere in un esempio di architettura civile razionale e spaziosa, reinventando la periferia senza sovrascriverne l’identità industriale. Oggi, Bicocca si presenta come un melting pot di tecnologia, arte e vita universitaria e in questo contesto di rinnovamento e interazione, il Dandelion gioca un ruolo chiave, muovendo le acque in questo quartiere semi-isolato.
«La sua prima apertura, a cavallo della pandemia, è stata breve, ma ha contribuito a definire l’identità del locale, che oggi fa del suo mistero e del dialogo diretto con il cliente il proprio punto di forza», racconta Juri, riferendosi al fatto che l’indirizzo del locale è un’informazione che si ottiene solo risolvendo un rebus sul loro sito e con un prezioso passaparola. Un’avventura dove il cliente si sente piacevolmente al centro. «Abbiamo notato che l’80% delle persone che ci visita non è tanto interessato alle spiegazioni dettagliate dei cocktail, quanto a un rapporto meno formale con il barman. Vuole che gli si racconti qualcosa di autentico. Chiediamo al cliente cosa di solito non beve, perché spesso consigliamo proprio quel drink con quell’ingrediente… e la reazione è di puro stupore». L’ambiente e gli arredi del locale, dai toni molto scuri, creano una forte intimità. Ecco perché Juri specifica: «Ho chiesto ai ragazzi che lavorano con me di infrangere questa “barriera” con i clienti. Noi, con il nostro servizio, vogliamo essere il plus valore dell’intera esperienza». Juri crede fermamente nella liquoristica italiana: «Una delle nostre missioni, è quella di valorizzare e far scoprire prodotti italiani e legati alla tradizione, come il Fernet-Branca. È una questione di percezione: con il nostro lavoro di ricerca sulla miscelazione e sulle caratteristiche merceologiche, possiamo cambiare l’idea che la gente ha di questi liquori, mostrando che si possono creare cose eccellenti. Vogliamo fare della miscelazione non solo efficace, ma anche affascinante». E a riguardo della comunità dei bartender milanese, Juri ci racconta del loro significativo contributo: «Al Dandelion, il nostro menù include una lista di locali consigliati, riflettendo il desiderio dei nostri clienti di essere guidati verso altri bar di qualità». L’idea di condividere questi consigli nasce dall’intenzione di trasformare la competizione in una di supporto reciproco tra locali. «Ne gioverebbe enormemente la comunità dei bartender», conclude Juri.