Antefatto. Lo scorso 9 novembre, lunedì, Roma si sveglia con la notizia del fermo da parte delle forze dell’ordine di GECO – writer, street artist, urban artist o semplicemente artista, scegliete voi l’appellativo. Lo conoscono in tanti, anche al di fuori dei circuiti di cultori e appassionati, perché la sua particolarità è quella di riprodurre il suo nome a caratteri cubitali in punti impensabili – spesso altissimi – degli edifici, dando l’impressione, appunto, di riuscire a muoversi in verticale sui muri con la stessa abilità del rettile scalatore. Quello che però poteva essere „soltanto“ uno spiacevole fatto giudiziario – que viva GECO! Sia chiaro – si è trasformato in un caso politico e mediatico, nonché nell‘ennesimo punto basso dell’amministrazione Raggi. Nodo centrale della questione è stato il post Facebook con cui la Sindaca, dal suo profilo ufficiale, ha voluto annunciare alla cittadinanza tutta l’avvenuta identificazione e denuncia.
Messo da parte l’imbarazzo per il testo, che inizia elencando i reperti trovati come se si trattasse di bombe a grappolo e kalashnikov e non dell’inventario di un ferramenta o di una ditta edile – „Centinaia di bombolette spray, migliaia di adesivi, funi, estintori, corde, lucchetti, sei telefoni cellulari, computer, pennelli, rulli e secchi di vernice“ – e prosegue con frasi pittoresche da cinegiornale – (GECO) „Era considerato imprendibile“ – quello che preoccupa di più è la schizofrenia che emerge dall’additare GECO come nemico del popolo da fucilare in piazza – nei commenti al post c’è stato anche chi, con spirito d’iniziativa medievale, ha proposto di amputare al condannato gli arti superiori – quando in un museo comunale, la Galleria d’arte Moderna di Via Francesco Crispi, sono attualmente allestite e ospitate due mostre (oggi non visitabili a causa delle disposizioni governative, nda) dedicate ad altrettanti street artist: Obey e Sten Lex, gente cresciuta a pane e muri. Mostre, oltretutto, che sono state anche inserite nel palinsesto della rassegna Romarama, su cui il Comune stesso sta battendo come non mai da quando è stata lanciata la scorsa estate.
Di fronte a storture come questa, che sfondano il muro del paradosso, bisogna chiedersi se non sia arrivato il momento di fermarsi, riflettere e decidere di abbandonare un’idea del decoro che, se pensata e comunicata come un gioco a rincorrersi e denunciarsi tra buoni e cattivi, tra cittadini (da tastiera) e „zozzoni“, come ama definirli la Sindaca nei suoi post, diventa ideologia sinistra e vuota. Sarebbe bello anche non dover più avere a che fare con campagne istituzionali in cui i canoni estetici e culturali di una qualsiasi persona siano considerati sintomatici di devianza sociale, specialmente quelli che forse andavano bene in „Scuola di polizia“, ma che ora sono ridicoli per quanto irrealistici e stereotipati: davvero nel 2020 i writer si devono vedere ritratti come persone che imbrattano con aria demente la Bocca della Verità, indossando baggy, cappello con visiera alla rovescia, catenoni e tatuaggi? Cara Sindaca, si faccia un giro sul sito dove Obey vende la sua linea d’abbigliamento: pensi, troverà anche delle camicie.