Ogni Natale il surreale momento di reincontro con i parenti assume sempre di più la forma di un film italiano degli anni Settanta, in cui personaggi ben scritti si incontrano e si uniscono per una trama avvincente di un film di qualche ora fatto solo di sceneggiatura e una sola ambientazione. Lì, il mutare e il ripetersi di conversazioni più o meno di circostanza ci mette davanti a un vibe check sui nostri cambiamenti in corso e le cose che invece rimangono sempre uguali.
Fra chi smette di fumare, chi prende posizioni politiche (im)prevedibili e chi si trasferisce in città inaspettate, il momento dei regali rende sempre inevitabilmente l’idea delle reciproche percezioni delle nostre identità. Da lì suscitano varie reazioni interne, da profonda tenerezza a profondo cringe. Con l’affezione che ci contraddistingue per questo momento agrodolce, qui da ZERO abbiamo deciso per unire l’utile di una cernita dei nostri dischi di quest’anno al dilettevole, provando a regalare/dedicare a parenti più o meno immaginari con il giusto profilo psicologico i dischi che ci hanno più fatto battere il cuore in qualche forma.
Inutile dire che gli zii alternativi e single e i cuginetti zoomer sono in cima alla lista dei parenti che vogliamo coprire di dischi affettivi, in quanto classici detentori del primato dei parenti più cinematografici di sempre e soprattutto, con la possibilità di essere presi in piccole dosi, il che ce li fa apprezzare ancora di più. Godetevi quindi questo banchetto fatto unicamente di parenti outsider e nostre nevrosi, e qualche consiglio last-minute se ancora siete in ballo con i pacchetti o la playlist dell’albero.
AI
Lambrini girls – Who Lets The Dogs Out
Ethel Cain – Willoughby Tucker, I’ll Always Love You
Manderei a una vecchia zia che ha ricominciato a fumare di recente, e sta riflettendo se andare a ritirarsi fuori città, o in una mansarda inaccessibile, non uno ma due album.
ANTI
Allo zio Lino -si chiama Natale ma per ovvie ragioni abbiamo sempre usato il diminutivo- regalerei l’ultimo album dei Giallorenzo Inni e Canti. Si apre con una cornamusa che al cenone della Vigilia sembra l’intro perfetto per dare il via a discussioni sulla politica internazionale. Per lui, che ogni anno racconta le sue avventure di architetto in Libia, tra un commento colonialista e un altro ancora di più, gli farei ascoltare Non fa male urlando a squarciagola Pioggia di zolfo in città leader a testa in giù Barricate all‘ ambasciata Usa non ci lasceremo maiiii! Tra lo sgomento dei miei parenti la cena finirebbe ma questa è un’altra storia.
ARIO
Uomini Cani Gabbiani – Le Feste Antonacci
Regalo Uomini Cani Gabbiani al mio cugino immaginario, appena promosso a insegnante di ruolo alla scuola media di Isernia. Si sente già il guru dell’educazione digitale: registra video “educativi” in classe, li monta con risultati posticci e censura i volti dei ragazzi senza nemmeno chiedere il loro consenso. Alla cena di Natale pontifica sull’abuso dei social tra i giovani, ignorando con ammirevole ipocrisia che sta usando lo stesso mezzo per dissetare il proprio ego tronfio e le proprie frustrazioni.
ARPIA
Un disco potente, scovato per caso, arrivato verso fine anno, perfetto per una „best of“ che gioca con l’ambient (e tutte le sue enormi sfaccettature) al centro. Per chi si alza presto al mattino e per chi va tardi a letto la notte, in quell’intervallo tra buio e luce, attimi prima che sorga il sole: lo zio dall’età indefinita, che ai 40 si è dato allo yoga e alle tecniche di meditazione, single impenitente, un passato da clubber e un futuro da santone.
BEATRICE
Chi è Nicola Felpieri? – Il Mago del Gelato
Se la mia famiglia fosse milanese sarebbe bello avere uno zio che se prima abitava le ringhiere a nord della città, oggi si gode l’affaccio sulla Torre Velasca del suo ufficio in Festa del Perdono. La placchetta dice „Dipartimento di Scienze Filosofiche Applicate, cattedra di Filosofia Politica e Pratiche Etiche Estreme“. Se fossi sua nipote, allora gli regalerei questo disco (esordio per la band che porta il nome di un vecchio bar di via Padova) come controesempio su vinile della sua teoria – alla fine mai altrettanto ben argomentata quanto quelle sulla strategia della tensione – per cui la musica buona, quella suonata bene, non si faccia più. Guadagnandomi la sua attenzione e forse un po‘ della sua stima con temi musicali dagli accenni prog, richiami afrobeat e groove molto seventies avrei trovato anche il cavallo di Troia per infilargli nell’orecchio anche un po‘ d’autotune senza lasciargli il tempo di opporre resistenza. Ma sono nata in Sardegna e questo zio non ce l’ho, quindi lo regalerei a mio nipote che ha 15 anni. Attitudine: maranza-non-professionista. Anzi gli pagherò un biglietto per lasciare l’isola e lo porterò a ballare a uno dei loro concerti – sperando di non provocargli imbarazzo perché la zia dall’insostenibile vena nostalgica, a quel punto, sarei diventata io.
CLARA
L’ultimo disco dei Leatherette nella mia testa suona come un coloratissimo frullatore post-punk lasciato acceso a oltranza senza preoccuparmi della bolletta. È un disco attraversato da una tensione continua: va a tutta velocità, poi rallenta, ti fa respirare e ridere prima di ripartire. Più o meno quello che succede quando passo del tempo con Davide, mio cugino di dieci anni, a cui vorrei regalare questo disco che gli somiglia. Ritmo Lento è Davide perchè dentro ha tante direzioni insieme, impulsi liberi e continui e poi pause improvvise, colori vivaci ma con sfumature di grigio, melodie che ricordano filastrocche sensibili ma comunque fuori asse. Un caos che non stanca, anzi, tiene svegli. La copertina di Gabriele Zagaglia chiude il cerchio: colori sparati, segni quasi infantili, immaginazione lasciata libera di esistere. È la stessa energia del disco: una corsa velocissima, ma a ritmo lento.
CARLY
Quella tua cugina di 10 anni in meno di te che hai visto ogni anno crescere sproporzionatamente e dopo averla considerata una pupattola per metà della tua vita all’improvviso eccola lì col piercing, i capelli scalati, matricola di qualche facoltà umanistica a Bologna.. un grande classico che non tramonta mai e che ti riporta alla te di qualche anno fa, così che improvvisamente diventa anche una delle persone con cui hai più voglia di condividere il tavolo. Le regalo Terrona di Maria Violenza, gioiellino aggressivo e deep fuori dalle grosse logiche (Kakakids Records) che affronta con il mordente, appunto, terrone un crocevia di tematiche che ormai nel loro essere tagliente sono lo spettro pulsante dei nostri tempi. Tanto vale che le guardi piccola, ora che hai la consapevolezza e anche la freschezza per reggerle. Con un po‘ di punk synthoso di background, ancora meglio.
DJ FUCO
Piero Piccioni – Il caso Mattei
Cosa abbia spinto uno dei maggiori compositori italiani di colonne sonore a proporre questa per un caposaldo del Cinema Politico Italiano non è dato sapere (non siamo più abituati a tale coraggio sperimentale), sta di fatto che ha inventato la techno. Nel 1972. A nessuno piacerà, ma la pianteranno di chiedere quando fate un nipotino. La ristampa originale uscita quest’anno per CAM Sugar è il disco da regalare allo zio “strano” che andava ai rave illegali negli anni 90 e ha avuto qualche problema con la giustizia (se ce lo avete tenetevelo stretto, se no regalatevelo da soli).
DJ OSTEOPOROSI:
Al Mustaqil – Musica plebea nell’era del tecnofeudalesimo
Mio nipote non ha ancora compiuto 10 anni e ha già convissuto con una quantità di orrori nel mondo che se li avessi visti io alla sua età avrei già contratto l’epatite. Per sua fortuna nella vita avrà ancora la possibilità di assaltare tutto ciò con la musica. Jacopo Andreini (Al Mustaqil) lo fa da quasi 40 anni, in cui ha suonato di tutto e con tutti, che se mi ci metto adesso a far la lista ne esce fuori un pamphlet. „Musica plebea nell’era del tecnofeudalesimo“ non è il mio disco preferito di quest’anno – men che meno lo sarà per mio nipote -, ma nel suo concentrare «tutti gli incubi contemporanei in un unico album» gli saprà dire che si può fare, che il male si può rifiutare, che i carri armati si possono combattere anche coi sassi, e che sarà pure più appagante (talvolta divertente) che imprigionarsi in una narrazione distante dal reale. E poi è un gran disco.
GIULIO
Liguari/Stratos/Stocchi – La Cantata Rossa Per Tall El Zaatar
Il cenone di Natale è anche l’unico momento dell’anno in cui siamo costretti ad essere seduti attorno a un tavolo con persone con cui nella vita normale non vorremmo condividere il marciapiede. Sì, sto parlando di politica. Di solito quella persona è uno zio che parla a voce molto alta. Quello che si crede più simpatico di tutti, dispensa consigli non richiesti macchiati da un malcelato fascismo, più o meno consapevole, accompagnati da sonore manate e alito pesante. A questo zio vorrei regalare questo disco perché va bene destra e sinistra (in realtà no, per una volta soprassediamo) ma se c’è una cosa su cui non si dovrebbe proprio litigare è il fatto che nel 2025 abbiamo assistito al compiersi di un genocidio, permesso dalla comunità internazionale tutta. Questo album è quindi “un documento musicale e politico che racconta la storia di uno dei massacri più brutali avvenuti nel 1976 in un campo profughi palestinese durante la guerra civile libanese.” Free jazz, poesia ed echi mediterranei si incontrano nel comporre un unico grido straziante, profondamente umano, senza confini nazionali. Perché come si legge nelle linear notes, “se ci definiamo umani, non possiamo fare a meno di addolorarci per le sofferenze del popolo palestinese.” Sì anche tu, maledetto zio insopportabile.
ONDAKEIKI – Canti, Vol. 2 (42 Records)
Se siete fortunati, a tavola con voi durante il cenone ci sarà un cugino o una cugina adolescente. Di solito questa relazione assume due forme, diametralmente opposte: sarete completamente bullizzati e snobbati, considerati decrepiti anche se a malapena trentenni e anche se dimostrerete di apprezzare sinceramente Anna Pepe e Simba La Rue; oppure sarete adorati e visti come vicini ma lontani, un modello, quelli fichi che hanno già conquistato quell’indipendenza che loro agognano come l’aria. La seconda fatica degli ONDAKEIKI va bene in entrambi i casi. Il mix di dub e psichedelia, indie e reggae marcio, avrà il dono di far incazzare, alienare e ridere chi vi considera un vecchio rincoglionito. Così tanto che finirete per risultargli simpatici, weirdos che forse sotto sotto hanno qualcosa da dire. Se invece vi adorano, allora con un regalo del genere finiranno di perdere la testa: è la volta buona che inizierete a fumarvi le canne insieme (farete finta che non vi fanno venire gli attacchi di panico) e non riuscirete a scollarveli più di torno.
HELLI
Life is Beautiful di Larry June – 2 Chainz – The Alchemist
Regalo questa bomba a mio cugino piccolo che ha appena scoperto i baggy jeans.
PIGNA
PHRA (CROOKERS) – Amore Liquido
Questo è un album che puoi regalare davvero perché è uscito solo in vinile e non si trova su nessuna piattaforma streaming. Parla di amore, quindi è bello, è triste, è sconcio. È perfetto per tuo padre che si è appena mollato da tua madre, o per te che ti sei appena mollato. O magari per tuo padre che è mega innamorato di tua madre, o per te che sei mega innamorato. Insomma hai capito. Rimane il fatto che è un regalo anche nostalgico dei tempi che sono passati, quando la vita non correva veloce sui social, quando la musica si comprava e si regalava, quando l’amore contava (più di oggi?)
SEGR3TA
Futuri possibili – Franco126
Lo regalerei alla mia nonna, da sempre un’inguaribile romantica, costantemente nostalgica: se fosse una stagione, sarebbe l’estate; se fosse un momento della giornata, il tramonto. Ed è così che la immagino mentre ascolta questo album, su una spiaggia, con la musica che si mescola al rumore delle onde.
TroPie
Los Thuthanaka – Los Thuthanaka
Los Thuthanaka è per quel cugino che è appena tornato da un viaggio dal Sud America e ha avuto un’esperienza spirituale con l’Ayahuasca. All’inizio del racconto il tutto ti sembra un po‘ too much; il suo resoconto è caotico, disordinato. Eppure, andando verso la fine, non puoi fare a meno di notare come tutto quel caos racconti qualcosa di inaspettato e profondo, su di sé e sugli altri, sul passato e sul presente, che, alla fine dell’ascolto, si collassano in un unicum.