Le vacanze sono film oppure i film aiutano a rendere le vacanze migliori? Con questo dilemma marzulliano introduciamo un tema molto sentito per cercare di affievolire il post-vacation blues: quello del cinema da viaggio.
Spoiler: stavolta purtroppo Boldi e De Sica non verranno citati. Cercheremo di farcene una ragione e andare avanti, consapevoli del fatto che ci sarà nuovamente modo e tempo per parlare di loro.
Into The Wild forse è il titolo più iconico del lotto. Il capolavoro di Sean Penn tratteggia la vera storia di Christopher McCandless, figlio della borghesia americana che, come un novello San Francesco, rigetta la società capitalistica spogliandosi di tutti i suoi averi in cambio di un cammino nomadistico. La storia la conoscete un po’ tutti, quindi inutile indugiarci troppo. Un unico avviso: fate attenzione alle bacche, a volte possono essere più letali degli orsi bruni.
In un periodo storico in cui il termine radical-chic è sempre più veicolato come forma d’insulto politico, citare il regista che probabilmente più ne incarna lo status (Wes Anderson) rappresenta a tutti gli effetti una sorta di resistenza civile. Il Treno per il Darjeeling altro non è che un viaggio alla ricerca di un ricongiungimento, quello fra tre fratelli molto particolari, in rotta di collisione con il mondo e con se stessi. Come recuperare il loro rapporto? Ovviamente sul Darjeeling Limited, un treno che fa della spiritualità un vanto e che collega New Jalpaiguri a Darjeeling attraversando, a passo di lumaca, piantagioni di tè, paesaggi incredibili e villaggi di montagna dai colori pieni d’incanto. Un’esperienza mistica come l’India che ne fa da cornice.
Rimanendo nella categoria „film hipster ma non troppo”, impossibile non citare il messicano Y Tu Mamá También con un giovanissimo Gael García Bernal a farla da padrone. La pellicola racconta la fuga di due adolescenti dagli ormoni impazziti in compagnia della meravigliosa Luisa Cortés (Maribel Verdú). Un Threesome On The Road a firma dell’allora semisconosciuto Alfonso Cuaron che emoziona, diverte e…vabbè, poi mi direte.
Anche i Blockbuster hanno un cuore. Prendiamo ad esempio Thelma e Louise, A Proposito di Schmidt e Sideways. Tre produzioni hollywoodiane, tre storie emozionanti, tre viaggi differenti ma con un unico, denominatore comune: la ricerca di quella libertà troppo a lungo repressa. E allora ancora oggi piangiamo sul salto di Geena Davis e Susan Sarandon, ci commuoviamo nella roulotte di nonno Jack Nicholson e ci ubriachiamo con Paul Giamatti, consapevoli del fatto che ognuno di questi tentativi di rivalsa sociale fosse, per i protagonisti, assolutamente necessario.
Last but not least, il mio preferito, il film guida, il bignami del fastidio associato a un Road Trip. Sì, sto parlando dell’unico e solo Un Biglietto per Due di John Hughes. Colonna portante di una comicità più volte scopiazzata (vedi Parto col Folle), ma del tutto inarrivabile. La trama è semplice (un padre di famiglia cerca di tornare casa per il Giorno del Ringraziamento, malgrado clima, trasporti e un invadente compagno di viaggio facciano di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote), le istrioniche interpretazioni di Steve Martin e John Candy no. Un film generazionale che ci mette in guardia sui pericoli del partire in compagnia. Perché in fin dei conti un viaggio è come un buon film: un ottimo viatico per rimorchiare, ma che alla fine si apprezza meglio quando si è da soli.