A Venezia, ogni due anni, si impone un nuovo panorama legato alle arti visive contemporanee, che traccia un orizzonte fatto di progetti e idee, di confini da lacerare e dialoghi da approfondire. Si fa il punto della situazione attraverso le prospettive e le proposte degli artisti nel tentativo di tracciare una sintesi su ciò che accade nel mondo, o nei micromondi, attraverso possibilità di pensiero, visioni immaginifiche e criticità da puntualizzare per poi poterci proiettare al superamento degli ostacoli. Queste visioni, fatte di opere e percorsi, probabilmente non restituiscono mai soluzioni tangibili e pragmatiche, ma fungono da strumenti per inventare situazioni, trovare nuovi limbi, rivisitare epoche e ricreare luoghi, dissolvendo pregiudizi e rendendosi, di nuovo, pionieri di un pensiero etico. O così auspichiamo.
L’uomo e la donna, gli esseri umani tutti, sono stranieri. Ognuno arriva da qualche parte, per andare da qualche parte.
Alberto Garutti utilizzava la didascalia per preparare il fruitore all’opera. Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere è una didascalia chiara, diretta, che non ha bisogno di interpretazioni. Almeno, non dovrebbe averne bisogno. Ma il direttore della 60esima edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, Adriano Pedrosa, la spiega e racconta, sottolineando la scelta necessaria di trattare la figura dello straniero, che, di fatto, accomuna tutti. L’uomo e la donna, gli esseri umani tutti, sono stranieri. Ognuno arriva da qualche parte, per andare da qualche parte. La tematica dell’altro, del diverso, dell’accoglienza, o, al contrario, dell’emarginato, sono tematiche che da sempre l’arte accoglie dentro di sé e indaga. La Biennale, nello specifico, ha rappresentato uno scintillante crocevia di culture, denunce, urgenze. Negli ultimi dieci anni della rassegna sono stati approfonditi i più diversi aspetti legati al dimenticato, al non conosciuto, alle culture messe da parte rispetto a un mondo occidentale, eurocentrico, limitato. La Biennale di Massimiliano Gioni, partendo dal tema del sapere, visitato come un luogo da scandire in sezioni tematiche, poneva in dialogo artisti noti con personaggi sperimentatori; il percorso di Okwui Enwezor narrava di guerre, di sofferenze, di riscoperte e di catene, trattando in particolare l’Africa come luogo da cui ritrovare le origini; Cecilia Alemani ha studiato e riattualizzato le opere e le sperimentazioni di artiste donne con uno sguardo particolare a paesi come il Sud America. “In occasione della Biennale Arte 2024 si parlerà di artisti che sono essi stessi stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati, in particolare di coloro che si sono spostati tra il Sud e il Nord del mondo”. Ma l’arte non lo ha sempre fatto? O forse Pedrosa ci pone davanti al quesito, spingendoci ad affrontare i padiglioni della Biennale indagando questi aspetti che ricorrono da anni, istigandoci a dare nuovi sguardi? Speriamo.
Se per i Claire Fontaine siamo “stranieri ovunque”, come enuncia la loro opera scelta come fonte ispiratrice per il titolo della Biennale, la mappatura tracciata a Venezia rappresenterà un approdo. Una casa per tutti, come canterebbe Ghali, anticipando anche lui un po’ questa Biennale. Una novità di questa edizione è la presenza di un nucleo storico, insieme a quello contemporaneo. Riprendendo, forse, quei dialoghi tra epoche della scorsa edizione, che portavano il pubblico a leggere la storia dell’arte attraverso fasi evolutive che, spesso, ritornano.
Le sezioni ufficiali della Biennale.
Ma partiamo dalle sezioni ufficiali della Biennale. Intanto ci sono dei nuovi paesi all’interno del circuito: artisti da Benin, Etiopia, Tanzania e Timor Est in Asia. Così come la Repubblica Unita della Tanzania, il Nicaragua, la Repubblica di Panama e il Senegal – che con la Biennale di Dakar ha assunto aspetti internazionali – che avranno un padiglione per la prima volta nella storia. Un significativo passo lo fanno gli Stati Uniti, che ospiteranno il primo artista indigeno, il Cherokee Jeffrey Gibson.
Da subito Pedrosa ha dichiarato una forte presenza italiana. Un segnale positivo per i nostri artisti che, anche tornando da altri paesi, hanno spesso sofferto un isolamento dal mercato internazionale e della non cura di un paese che ha posto la cultura ai margini. Ma la cultura, in Italia, è sempre andata avanti con le sue forze. Lo ha dimostrato il talk di presentazione tra Nicolas Ballario, Massimo Bartolini e Luca Cerizza che, presso la galleria Massimo De Carlo a Milano, hanno raccontato i temi e le azioni che hanno portato all’ideazione del padiglione italiano.
Il Padiglione Italia è stato infatti affidato a un raffinato binomio, quello composto, appunto, da Bartolini e il curatore Cerizza, e che porta come titolo il gioco di parole DUE QUI / TO HEAR. La musica e il suono sono dunque il focus da cui parte l’analisi dell’artista toscano che, finalmente, decide di aprire l’intero spazio dello storico Padiglione che occuperà due porzioni delle Tese delle Vergini. Non ci saranno muri, restrizioni, piccole stanze (come è accaduto in passato), ma un ampio luogo dedicato al suono, all’introspezione, alla fruizione spirituale del sé legata alle diverse culture, che Bartolini presenta attraverso due elementi simbolici: l’albero e il bodhisattva. Entrambi legati a installazioni sonore, questi simboli aprono e chiudono un percorso di “massima astrazione”, come dichiara Bartolini. Dove “la materia sottile del suono” è protagonista, anche in relazione e collaborazione con professionisti invitati a partecipare al progetto che, di fatto, diviene collettivo. L’artista e il curatore hanno infatti coinvolto il musicista inglese Gavin Bryars con il figlio, Yuri Bryars, e le musiciste Caterina Barbieri e Kali Malone.
Un altro progetto interessante, nato per la scorsa edizione della Biennale, è il Biennale College Arte, che prosegue con “l’obiettivo di affiancare all’Esposizione Internazionale d’Arte un laboratorio di ricerca e sperimentazione, per lo sviluppo e la produzione di progetti artistici di artiste/i emergenti under 30”. Pedrosa ha annunciato anche 30 progetti selezionati come Evento Collaterale che vede partecipi luoghi come: Bangkok, Barcellona, Berlino, Cincinnati, Cleveland, Gangneung-si, Gottinga, Gwangju, Hannover, Palestina, Hong Kong (c’è anche un progetto realizzato dal Museo d’arte contemporanea di Macao), Lagos, Londra, Long Beach, Macao, Madrid, Mumbai, New York, Parigi, San Juan, Seul, Solingen, Taipei, Toronto, Venezia, Wakefield, Varsavia, Wonju-Si.
Anche le partecipazioni dei paesi invitati nelle edizioni più recenti sono da segnalare. Il Padiglione dell’Azerbaijan, che peculiarmente è curato dall’italiano Luca Beatrice insieme a Amina Melikova; il Padiglione Venezia presso i Giardini di Sant’Elena; il già noto Padiglione del Vaticano che, tra gli altri, ha ospite Maurizio Cattelan per la simbologia e analisi spirituale di tante sue opere, all’interno di un luogo speciale, il carcere femminile in Giudecca, dove le abitanti del luogo parteciperanno al dialogo raccontando le opere. Il Padiglione dell’Albania, tutto dedicato alla pittura grazie a Iva Lulashi, con la curatela di Antonio Grulli; il Kosovo, con un progetto di Doruntina Kastrati dal titolo The Echoing Silences of Metal and Skin, nella cornice del Museo Storico della Marina Militare di Venezia. Anche il Camerun ha un progetto dal titolo ambizioso: Nemo Propheta In Patria e Palazzo Donà delle Rose come sede. Il Padiglione dell’Argentina, invece, presenta un progetto di Luciana Lamothe, a cura di Sofía Dourron. L’artista, parallelamente, ha una mostra presso la galleria Alberta Pane. Invece Cuba invita Wilfredo Prieto. L’artista parteciperà a un talk presso l’Instituto Cervantes, per raccontare Curtain, il suo progetto per il padiglione internazionale presso il Teatro Fondamenta Nuove.
Musei, progetti off, e istituzioni.
Dopo qualche cenno veloce per inquadrare l’atmosfera di questa Biennale, ecco un percorso tra musei, progetti off, e istituzioni. Prima o dopo giungere nei pressi dei Giardini o dell’Arsenale, e di intraprendere dunque quel viaggio immersivo che dichiara Pedrosa tra i Padiglioni Nazionali, un passaggio da fare è in uno dei nostri luoghi preferiti: la sede di Ocean Space, la Chiesa di San Lorenzo. Dopo il dialogo raffinato tra le opere scultoree di Simone Fattal e la mostra e performance di Petrit Halilaj e Alvaro Urbano, Ocean Space ospita un progetto in collaborazione con OGR Torino dal titolo e-Stor(y)ing Oceania, a cura dell’artista Taloi Havini. “Il progetto espositivo comprende due nuove installazioni site-specific commissionate alle artiste indigene del Pacifico Latai Taumoepeau ed Elisapeta Hinemoa Heta”. Le tappe classiche come Palazzo Grassi e Punta della Dogana sono naturalmente da affrontare. Anche per avere delle pause piacevoli per assorbire ciò che si è visto qua e là. Pierre Huyghe a Punta della Dogana val bene una messa. Forse anche più d’una. Il progetto espositivo Liminal è speciale e di impatto. A Palazzo Grassi, invece, Julie Mehretu con „Ensemble” crea un percorso di sue opere pittoriche in relazione ai maestri che l’hanno ispirata. Nell’ambito di Teatrino di Palazzo Grassi, da tenere sott’occhio sempre il programma di talk, screening e performance.
Ci sono due storici americani da vedere: Jim Dine con la mostra Dog on the Forge, presso Palazzo Rocca Contarini Corfù, e Robert Indiana con The Sweet Mystery, organizzato dallo Yorkshire Sculpture Park, presso il bellissimo spazio all’interno di Procuratie Vecchie, restaurato per la scorsa Biennale da David Chipperfield Architects (come dimenticare la mostra di Louise Nevelson). La brava Rebecca Ackroyd con Mirror Stage, presso Fondaco Marcello; mentre alla Fondazione Querini Stampalia ci sarà A Journey to the Infinite: Yoo Youngkuk.
Anche a questa Biennale avremo un progetto legato all’immagine in movimento grazie a In Between Art Film dove il duo Rabottini-Bigazzi curerà la mostra Nebula, nel complesso dell’Ospedaletto. Un passaggio è dovuto a Bevilacqua La Masa per The Endless Spiral: Betsabeé Romero.
Una mostra che andrà vista è quella dell’artista belga Berlinde De Bruyckere. Intanto il titolo, City of Refuge III, riprende l’omonima canzone di Nick Cave, che interpreta perfettamente i temi di questa Biennale. E anche il luogo, l’Abbazia di San Giorgio, chiesa benedettina del XVI secolo, vale una breve traversata in vaporetto. La De Bruyckere fu già ospite a Venezia nel 2013, per rappresentare il suo paese.
C’è anche Francesco Vezzoli a Venezia quest’anno, con Museo delle Lacrime presso Venice International Foundation a cura di Donatien Grau. Un forte legame con la natura si ritrova nella personale di Lee Bae: “un’esperienza suggestiva e partecipativa che intreccia profondamente il folklore e la tradizione con l’arte contemporanea”. La mostra, La Bella Carta dal 1264, è curata da Valentina Buzzi. Dall’Egitto, invece, per una mescolanza culturale legata tra presente e passato, c’è Wael Shawky con I Am Hymns of the New Temples, curata da Massimo Osanna, Andrea Viliani e Gabriel Zuchtriegel, che vede una collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei e il Museo di Palazzo Grimani di Venezia. Da Fondazione Prada, tappa obbligata a Ca’ Corner della Regina, c’è una mostra dedicata all’artista svizzero Christoph Büchel.
Qualcosa di storico.
Qualcosa di storico, oltre all’interessante “Nucleo” selezionato da Pedrosa che si sviluppa intorno all’arte del novecento proveniente da America Latina, Africa, Asia e mondo arabo, da visitare è presso la Fondazione Guggenheim che ospita un percorso dedicato a Jean Cocteau, La rivincita del giocoliere. Dopo il raffinato e completo progetto dedicato a Duchamp e il tema del multiplo (e del doppio), la linea della fondazione prosegue con un surrealista, per sottolineare la presenza dei capolavori di Ernst, Picasso e altri amici all’interno del museo. Se il Padiglione della Diaspora del 2017, tra i più interessanti di quell’edizione, ha posto le basi per alcune riflessioni che rivediamo oggi, c’è un tema importante che viene qui ripreso da Marco Scotini. Quello degli archivi, in particolare su temi che prima non erano tanto trattati. Ecco che l’Archivio della Disobbedienza, che ha un focus sull’arte tessile, esordisce in laguna come “guida per l’utente attraverso le storie e le geografie di quattro decenni di disobbedienza sociale”.
Un passaggio in centro, all’Espace Louis Vuitton, vale per Ernest Pignon; mentre, a San Marco c’è Double take presso A plus A Gallery e, a Campo San Polo, presso Palazzo Donà Brusa, passate nella nuova sede di Tommaso Calabro che inaugura una personale dello storico Harold Stevenson. Il giovane gallerista da Milano ha aperto la galleria a Venezia. Un segnale indicativo di una città che ha sempre da offrire. Fuori e dentro la Biennale.
Dimenticavo, ma i Claire Fontaine? Li trovate al Padiglione Vaticano, insieme a Maurizio Cattelan, Simone Fattal, Bintou Dembélé, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana e Claire Tabouret. Sbucheranno Hans Ulrich Obrist e, forse, anche Papa Francesco, tutti in visita in Laguna.