Alla fine è arrivato il consenso per la riapertura dei musei, ma la parola d’ordine è „contingentati“: niente file e assembramenti, niente grupponi. Si può entrare in Duomo, si può andare a Palazzo Reale, ai Musei del Castello Sforzesco, al Museo del Novecento, alla GAM, al Museo Archeologico, al MUDEC, al Museo della scienza, al Palazzo Moriggia o Museo del Risorgimento, al Museo di Storia Naturale, all‘Acquario Civico, al Palazzo Morando|Costume Moda Immagine, alla Casa Museo Boschi di Stefano, alla Casa della Memoria, ma tenendosi a distanza di scopa. Tanto molti di questi erano già deserti, si potrebbe dire. Vabbè, il senso è che, tolte le scolaresche, neanche i gruppi di turisti con la guida potranno accalcarsi davanti ai monili romani o davanti alle vetrine dell’orso bianco, o sotto al neon di Fontana affacciato su piazza Duomo.
Anche questa va considerata un’occasione, un esperimento: la cultura senza eventi e senza folla, un genere di fruizione dell’arte a cui ci stavamo disabituando. E non solo per via del turismo crescente, ma proprio perché ai luoghi di cultura viene sempre più richiesto di essere attrattivi, di valutarsi soprattutto con il metro dei visitatori, di utilizzare qualsiasi basso trucco per fare numeri: giornate gratis, eventi speciali continui, strumenti inutilmente interattivi, laboratori, comunicazione, marketing, gadget, percorsi stucchevoli, guide, cuochi, yoga, djset, talk, concerti. Forse in questi giorni si può godere di un rapporto visivo con le opere, con un po‘ d’aria intorno.
Riapre Prada, con le due mostre cinesi (Storytelling- Liu Ye + The porcelain Room) e la mostra K, riapre da giovedì 5 Pirelli HangarBicocca, con The eye, the eye and the ear – Trisha Baga, e riapre Armani Silos dal 4 marzo con Heimat. A Sense of Belonging, la mostra dedicata a Peter Lindbergh.
Le gallerie non possono fare l’opening, ma per il resto sono libere di aprire ai visitatori: e quindi, oltre a Adam Gordon da Zero…, e Patriarchy is History di Yael Bartana da Raffaella Cortese, che avevamo già segnalato, si può finalmente andare a guardare con calma le opere di Anna Franceschini da Vistamare Studio (Did you know you have a broken glass in the window? ), quelle di Shozo Shimamoto del gruppo Gutai da Cardi, quelle di Olaf Breuning alla galleria Poggiali, di Schifano da Giò Marconi, del compianto Yona Friedman da Francesca Minini a Milano e a Brescia da Massimo Minini, e poi Il suono del becco del picchio di Antonio Rovaldi a Bergamo, la collettiva Non si può essere incolti al punto di amare solo cose di alta qualità alla galleria Martina Simeti in via Tortona, subito di là dalla passerella di porta Genova, e le mostre da Building di Tony Cragg e di Sophie Ko + Valerie Krause + Marco Andrea Magni, Materie, Spazio, Visioni. Resta aperta alla Casa di Vetro la mostra La Guerra Totale. 1939-1945 con fotografie dagli Archivi di Stato americani, alla Fondazione Adolfo Pini la mostra Giovanni De Lazzari – Giorni Segreti, la mostra Filler di Nicola Gobbetto da Dimora Artica e al nuovo spazio Cassina Project Area Caproni U8OPIA – Louisa Clement e Georg Herold. Da Prometeo Gallery Vicino Altrove, una doppia personale di Regina José Galindo e Iva Lulashi. Da Federica Schiavo invece la collettiva A Healthy Dose Of Confusion Before The Bang (titolo quanto mai interessante in un periodo come questo). Un solo opening confermato il 3 marzo, diluito nell’intera giornata per contingentare le masse: Il gesto d’oriente alla Dep Art Gallery, con 5 artisti coreani.
Infine: Canova e Thorvaldsen alle Gallerie d’Italia, De Chirico, Georges De La Tour e La collezione Tannhauser del Guggenheim al Palazzo Reale e, dal 4 marzo la Galleria Massimo De Carlo, con la mostra The dangers – Tony Lewis nella sede di Belgioioso e quella di Tomoo Gokita a Viale Lombardia.
Il 12 marzo inaugura – nella modalità estesa, per tutto il giorno – Charles Atlas da ICA.
Restano ancora sospesi la Triennale, il cui presidente Boeri ha fatto più volte appello alla prudenza in virtù di quanto osservato personalmente in Cina, la Pinacoteca di Brera, il Cenacolo.
Restano sicuramente chiusi il Pac, che ha rimandato la mostra RISCATTI a ottobre e la tre giorni di MADE OF SOUND a data da destinarsi, MEGA con la mostra Chroma da MEGA, Daniele Papuli da Assab One, Jonathan Monk da Loom Gallery, Liliane Lijn da ORDET.
I più danneggiati sono teatri, concerti e, soprattutto, cinema: il nuovo decreto impone la chiusura totale nelle zone rossa e gialla e la distanza di un metro in tutte le direzioni nel resto d’Italia. E questo rende l’interpretazione ambigua e l’applicazione molto onerosa: le sale dovrebbero vendere un posto su dieci e mettere delle persone a guardia della distanza per non rischiare multe. Quanto a festival e affini, la Digital Week è stata rimandata a maggio e il Fog Festival slitta, ma non si sa di quanto. Dopo l’annuncio dello slittamento ad agosto della Biennale di Venezia, è stato annunciato lo spostamento di Miart tra l’11 e il 13 settembre e aspettimao notizie sulle altre fiere, week, festival ed eventi di media e grande portata in programma ad aprile e forse inizio maggio.
Crediamo e speriamo che il governo aiuti il settore dello spettacolo, ma la grande questione che rischia di rimanere insoluta è il danno inflitto ai lavoratori dipendenti, su cui sarà scaricato l’onere delle perdite, e alle piccole partite iva nel settore culturale, una marea: persone che vivono costruendo corsi, incontri, laboratori, piccoli eventi, collaborando semigratis ai grandi eventi, arrotondando con Airbnb. Tutti i protagonisti della terziarizzazione del settore culturale, dell’innovazione socioculturale tanto decantata. Migliaia di persone che sono state spinte a farsi impresa, a concorrere in un mercato povero, ad assumere l’intero rischio su di sé, e che ora ricevono un danno secco, difficile da rimborsare. Speriamo che il governo metta in conto anche questi aiuti, ma soprattutto che ripensi la cultura come un settore da finanziare e sostenere in modo diretto, e non infinitamente mediato da imprese e sottoimprese.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2020-03-01