Ho capito di essere diventata a tutti gli effetti adulta quando, annunciando agli amici che sarei partita per un viaggio ad Anversa, la prima cosa che mi chiedevano non era dove si trovasse o a fare cosa, ma se sarei andata al Museo Reale di Belle Arti Anversa (KMSKA). Aspettavo da tempo che i miei amici rinsavissero dal periodo quasi adolescenziale in cui parti per un viaggio e dici che vuoi fare tutto tranne chiuderti in un museo, che entrassero consapevoli nell’età in cui vai in una città quasi apposta per vedere dal vivo quell’opera custodita nella sala 1.1 al primo piano del museo (per me in questo caso era La mangiatrice di ostriche di James Ensor, 1882). Al KMSKA ho realizzato due dei miei sogni reconditi d’infanzia. Penso che quello di camminare per un museo chiuso fosse il sogno di chiunque nel 2006, anno in cui è uscito Notte al museo, era un bambino o comunque un adolescente facilmente impressionabile. Secondo, ho sempre sognato di capire perfettamente quello che in un museo è esposto e riuscire a vedere tutte le opere senza correre e dover passare velocemente davanti a qualche capolavoro nascosto del diciassettesimo secolo solo perché ero di fretta e negli altoparlanti annunciavano che il museo avrebbe chiuso tra trenta minuti.
Erano undici anni che residenti e turisti passavano indiscriminatamente davanti all’edificio al centro del quartiere degli artisti Zuid di Anversa, e sospiravano di fronte all’ingresso ingombrato dalle impalcature, aspettando il giorno in cui sarebbero finiti i lavori di ristrutturazione e sarebbero potuti entrare a gironzolare per il KMSKA: il Museo Reale di Belle Arti Anversa, tra una sala dedicata ai primitivi fiamminghi e una sul fondatore del movimento Les XX, James Ensor. Chi l’aveva visto prima della nuova inaugurazione del 24 settembre, avrà di certo trovato un museo diverso, se non proprio un altro museo. Sopra alla classica struttura ottocentesca ne è stata sovrapposta un’altra nuovissima, sviluppata da KAAN Architecten, dove sono custodite le opere che appartengono al periodo moderno. Quello che ne è uscito è stato un recupero del 40 per cento dello spazio espositivo. Non pensavo mi sarebbe mai interessato dell’architettura e delle ristrutturazioni di un museo, fino a quando non mi hanno spiegato che ogni piccolo cambiamento è stato fatto per il pubblico affinché mutuasse un’esperienza museale contemporanea perfetta.
PER VISITARE LE FIANDRE
La guida mi apre le porte alle 9.30, mentre i visitatori si accalcano all’ingresso aspettando l’apertura delle 10:00, e mi spiega che tutto il lavoro che è stato fatto in questi undici anni si è focalizzato proprio sulla resa moderna del museo: com’è che si costruisce un museo d’arte oggi? Volevano che fosse accessibile e per nulla elitario. Quando alle 9.20 mi ero piazzata davanti alle scale d’ingresso, dietro di me c’erano un’insegnante, due ragazzi giovanissimi, una signora pensionata – questo lo so perché mentre cercavo disperatamente la mia guida ho iniziato a chiedere a tutti se fossero loro.
Busti di capi oppressori spagnoli del Settecento vengono messi davanti al King of Egypt II di Basquiat.
Il secondo sogno che si realizza al KMSKA è invece tutta una questione di ordine. Di solito sei tu che scegli di vagare e perderti per i musei, di prendere i tuoi amici per mano e di imitare quella scena di Godard di Bande à part, ma in realtà sai perfettamente che ci sarebbe una linea cronologica da seguire, che non guarda in faccia la rilevanza del pittore o di quel dipinto nella serie, l’ennesima Madonna col Bambino, una noia mortale. Con il nuovo restauro, si è deciso di ordinare le opere epistemicamente, dando un tema a una sala e racchiudendoci le opere che c’entrano, mettendole in dialogo tra loro. Così, nel piano dedicato alle opere degli Old masters (cioè quelle pre-moderne prodotte prima del 1880), c’erano alcune opere raggruppate secondo il tema dell’orizzonte, che ritraevano un paesaggio inteso concettualmente come quello rinascimentale e paesaggi notturni di Peter Paul Rubens, di altri della scuola fiamminga come Lucas van Valckenborch (citato affettuosamente da Sebald in Austerlitz) e poi un Magritte. Nella sala dedicata all’impotenza, busti di capi oppressori spagnoli del Settecento vengono messi davanti al King of Egypt II di Basquiat. I colori delle sale dedicate agli Old masters, poi, seguono le sfumature preferite dei fiamminghi, rosa antico, rosso vermiglio e un verde oliva. In una sala ci sono i sensori a realtà aumentata che ti spiegano come si dipingeva nelle botteghe fiamminghe ai tempi.
Oltre a custodire dipinti preziosissimi dei primitivi fiamminghi e dell’omonima scuola, il museo conta anche un’ampia collezione di opere di James Ensor, pittore avanguardista fiammingo, che è stato di ispirazione alle correnti dell’espressionismo e al surrealismo. La sua mangiatrice di ostriche è stata considerata da alcuni il primo dipinto impressionista perché non si tratta di un ritratto, ma ritrae la sorella mentre si abbuffa goffamente di ostriche a disposte come se fossero una natura morta. Al tempo ha fatto scalpore che a una scenetta tanto prosaica – una donna seduta a tavola da sola – fosse dedicata una tela così grande. In generale, mi spiega la guida nella nostra mezz’ora da sole, con l’ultimo restauro si è data più visibilità e più spazio espositivo alle opere di pittori moderni, come ad esempio Rik Wouters, che dipingeva in maniera pre-espressionistica donne mentre facevano cose come stirare, leggere i giornali o guardarsi allo specchio. In una mezza giornata si riescono a osservare bene tutte le opere esposte, un privilegio che pochi musei ci riservano, facendoci piuttosto disperare perché dalla fretta ci siamo dimenticati di passare davanti al quadro famosissimo di cui ci ricorda una cartolina all’uscita dall’infoshop.
Il quartiere dello Zuid è così, nascosto in piena vista, bisogna tenere gli occhi apertissimi.
È una gran cosa anche perché il quartiere dello Zuid, dagli ampi boulevard alberati che ricordano i viali parigini, è pieno di gallerie d’arte (come la Zeno X Gallery e la Thomas Gallery of Fine Arts), negozi di design e di alta moda (c’è lo store europeo più grande di Ann Demeulemeester, stilista che fa parte dei famosi Sei di Anversa) e di musei. C’è ad esempio quello della fotografia e quello dell’arte contemporanea, il M HKA, che oltre a ospitare le opere di artisti fiamminghi, come ad esempio la videoart di Anne-Mie Van Kerckhoven che esplora l’inconscio e l’osceno da un punto di vista femminista e multimediale, dà spazio anche ad alcuni artisti internazionali, come Yayoi Kusama, regina dei puntini sulle sculture, nelle videoinstallazioni, e la solita Marina Abramovic.
Per le pause, state sicuri che vi imbatterete in qualche ristorante con le lucine perfetto per fare brunch (segnalo Tinsel) oppure qualche rivisitazione di cucine internazionali in chiave radical (come il Boker Tov che rivisita quella telaviviana), poi per non sbagliare qualsiasi cosa a base di pesce da Fiskebar. Che poi non serve nemmeno entrare negli edifici di Zuid per ammirarne la bellezza. Lungo Volkstraat sorge uno splendido edificio At Nouveau che una volta era chiamato Casa del Popolo e ospitava una cooperativa liberale.
Il quartiere dello Zuid è così, nascosto in piena vista, bisogna tenere gli occhi apertissimi perché senza che nemmeno tu te ne accorga ti capiterà di passare davanti a un qualche edificio deliziosamente curioso come quello da cui nell’angolo spunta la prua di una barca come se fosse un bow window, il ‘t Bootje.