Nel mondo ipertecnologico che siamo abituati a frequentare, questo posto – sostanzialmente – non esiste. Se lo cercassi su Google Map, quello che troveresti sarebbe semplicemente uno spazio vuoto, un quadratino grigio senza segni di urbanizzazione o verde pubblico. Per trovarlo, per arrivarci, devi avere fede. Essere certo che ci sia. Di una certezza che ti spinga ad attraversare i vialoni di Calvairate oltre via Molise, a spingerti verso i capannoni dismessi e il muro di cinta dell’ortomercato. E poi te lo trovi li, incastonato in un angolo fatto di palazzoni. “Giardino”, si chiama solo così, senza troppi fronzoli, sul cartello attaccato all’inferriata verde. Sotto il nome, una scritta aggiunta quasi per cortesia: via Monte Velino. Praticello, alberelli e tavolacci di legno. Al centro di quest’anonima aiuolona, all’inizio degli anni ’90 il Comune di Milano aveva costruito dei campi da bocce. E intorno a queste piste in terra battuta, trent’anni fa un drappello di valorosi aveva iniziato a scavare la sua trincea. Da qui, da allora, combatte una guerra contro a colpi di raffa. I protagonisti di questa resistenza urbana non sono i GAP ma i GAB, ovvero il Gruppo Amatori Bocce “Paolo Maspero”, fondato nel ’92 da un gruppo di allegri vecchietti con lo scopo di prendersi cura delle piste su cui giocavano tutti i giorni, e di loro stessi.
Sembra contro-intuitivo, ma questo è un posto alla rovescia: nel fine settimana non si va a ballare e negli altri giorni è “Ciao cara, vado alle bocce”.
Per cominciare, cos’è la raffa? La raffa è una specialità, sia maschile che femminile, dello sport delle bocce. La specialità prende il nome dal „tiro di raffa“ che consiste nel colpire – al volo o con l’ausilio del terreno – una determinata boccia o anche propria, oppure il pallino, preventivamente dichiarati all’arbitro. Non è un posto per giovani. Tutti i gloriosi fondatori ormai ci hanno salutato. L’occupazione di tutti e 46 gli attuali tesserati è ‘pensionato’, quindi “Giardino” è sempre frequentato molto di più durante la settimana che nei weekend.
Sembra contro-intuitivo, ma questo è un posto alla rovescia: nel fine settimana non si va a ballare e negli altri giorni è “Ciao cara, vado alle bocce”. Poi magari invece della raffa è una partita a carte, burraco, scopa, scala quaranta o solo quattro chiacchiere appoggiati alla ringhiera. Una rete metallica verde separa “Giardino” dall’enclave del GAB che ne occupa la parte centrale con due piste da bocce, qualche tavolo di plastica autofinanziato, un paio di armadietti e poco più. Negli anni, il territorio circostante è stato eroso dall’avanzata dei nemici: primi gli alberi, quel bel ciliegio piantato dai padri fondatori e gli ulivi. L’amministrazione pubblica li ha rivendicati a sé e i gabbisti non ne hanno più il controllo, non possono neanche portare via i rami secchi, anche se a Pasqua qualche rametto d’ulivo lo prendono di nascosto e lo portano in chiesa per l’abituale benedizione.
Poi un giorno sono arrivati i “Bevitori di Birre a Go-Go” (bibigogò), una milizia composta da elementi di nazionalità mista riuniti sotto la bandiera del day-drinking (simbolo araldico: due bottiglie incrociate su campo vespasiano) che imperversa in “Giardino” negli stessi orari dei fieri gabbisti, anche se per ragioni diverse. In questa terra di nessuno si trovano però installazioni fondamentali: il gabbiotto, che funge da centro di controllo del gruppo, ove vengono conservati documenti più o meno segreti e dove ci si rintana quando iniziano a piovere dal cielo le bombe d’acqua. L’infrastruttura che i gabbisti però si contendono più aspramente con i bibigogò è il wc a gettoni (qui non ci sono metafore colorite che reggano). La sua installazione, ricordano i più longevi, risale agli aiuti del piano Marshall. Non stupisce quindi che a volte non funzioni, lasciando entrambe le fazioni nel più meschino sconforto, costretti a offrire le pudenda alla vista degli sguardi penetranti di immancabili matrone da finestra.
Ad ogni campagna di manovre elettorali qui passano staffette del Comando ad annunciare imminenti lanci di paracadutisti dei nuclei genieri: giardinieri, idraulici, netturbini.
A volte scoppiano scaramucce, si teme l’escalation, delle piante in vaso schiacciate alla ricerca di un sedile all’ombra, i campi minati di bottiglie inesplose, sono tante le provocazioni che i GAB affrontano con malcelato fastidio, gli animi si scaldano, ma si finisce sempre per evitare lo scontro frontale e si ritorna nell’enclave protetta. E intanto si aspettano i rinforzi. Ad ogni campagna di manovre elettorali qui passano staffette del Comando ad annunciare imminenti lanci di paracadutisti dei nuclei genieri: giardinieri, idraulici, netturbini. Si spera, si attende, ma quando le grandi manovre elettorali si concludono, si sa già che non arriverà nessuno e, come da trent’anni a questa parte, bisognerà cavarsela da soli.
Si cercano alleati nella scuola di fronte, ci si appella alle maestre perché portino in missione esplorativa le giovani marmotte, a vedere come si trascorrono le giornate a fare resistenza urbana, come si gioca alle raffa. Ma sono momenti, episodi, come quando si va in trasferta a fare i campi, detti anche tornei di bocce, e confrontarsi con gli altri gruppi sparsi per l’urbanità circostante. I momenti di confronto sono però forieri di cocenti delusioni, principalmente per colpa de Le Regole perché qui al GAP la si fa facile e si gioca senza. Invece quando si va fuori quelli fanno le cose per bene e se non sei avvezzo di dichiarazioni e misure si fa presto a prendere un bel cappotto. La questione è fonte di continuo dibattito tra l’ala conservatrice, ma anche anarchica, che si appella alle tradizioni libertarie che si tramandano sin dalla fondazione, e l’ala progressista, amanti dei regolamenti, che vorrebbe un’evoluzione verso una maggiore aderenza ai canoni, un maggiore allineamento con gli altri gruppi, col sogno di tornare vittoriosi da almeno una trasferta.
Il confronto con le altre realtà del circuito della raffa rivelano ben più tristi mancanze del GAB, ma fra tutte quella che brucia di più è l’assenza de La Tettoia. Ritrovato eccezionale della tecnica e della scienza moderna, essa da sola potrebbe trasformare il GAB e le sue piste, rendendole meno estenuanti da mantenere pulite ma soprattutto praticabili anche sotto i bombardamenti liquidi che dall’autunno alla primavera costringono i gabbisti sul divano di casa o a rintanarsi in quattro o cinque nel gabbiotto per un giro di scala quaranta. Ma soprattutto La Tettoia metterebbe il GAB in condizione di rivendicare per sé tutto “Giardino”, quando anche i bibigogò devono arrendersi alla meteorologia avversa e rintanarsi in più asciutti anfratti. Si invidia soprattutto quella di un vicino distaccamento, già benedetto dal trovarsi circondato da un vero parco, con alberi e perfino collinette. Lì sono dotati di un manufatto pregevolissimo, si narra che sia composto da profumatissime travi di legno di cedro libanese posate da una squadra specializzata di carpentieri trentini con le orecchie a punta. Si vocifera che la cifra necessaria per quest’opera mirabile sia stata favolosa, la si sussurra sottovoce, ma tra i bisbigli si sente anche frusciare il nome di un potentissimo dell’Alto Comando Nazionale che – imparentato con uno dei membri di quel gruppo fortunato – abbia intercesso con ferma determinazione per il completamento della vastissima e pregiata copertura.
Al ritorno da questa trasferta i gabbisti sono sempre un po’ abbacchiati; così, quando le giornate si accorciano, alzando la testa al cielo si vede solo grigio e nell’aria si sente l’umido che sale dalla terra, i membri più tenaci del gruppo rifuggono il facile divano a favore del gabbiotto. Qui rintanati, prendono la penna e su un foglio di carta iniziano a stendere l’ennesima richiesta al Comando Locale di avere anche loro La Tettoia, strumento indispensabile per potere combattere la loro battaglia anche nei mesi più disgraziati. Per poi tornare a casa e nel weekend chiedere al nipotino di ribattergliela al computer, mentre i genitori sono a ballare.