Aura e choc: questi i due pilastri dell’esperienza artistica più autentica secondo il filosofo tedesco Walter Benjamin – due pilastri a suo avviso poco ravvisabili nel cinema e la cui presenza è, invece, apicale in tutte le performance live come – ad esempio – i concerti. E quindi, le grandi domande da porsi nella contingenza, rigorosamente nell’ordine a seguire, sono: 1) cosa ci prendiamo da mangiare d’asporto stasera?; 2) come far risplendere la dimensione auratica della musica con il divieto assoluto di performance live? Lo streaming sembra l’unica soluzione temporanea per rendere l’internet un medium acustico meno freddo e in grado, almeno in parte, di avvicinarsi all’ascoltatore; in grado di far sentire la musica nella maniera più sonoro-epidermica possibile. Da questa semplice deduzione (a cui è seguita un’urgenza di fare qualcosa), l’anno scorso, in piena pandemia, è nato Live Session in Tuci: una serie di session di musica dal vivo registrate (e post-prodotte) nel cuore dell’hype-periferico meneghino, il complesso di loft e studi di Via Tucidide 56. Lo stesso complesso che negli anni ha avuto come abitanti – o forse sarebbe meglio dire villeggianti – i Tauro Boys e la Dark Polo Gang, o dove va a registrare Mahmood – nello studio del producer Francesco Fugazza.
Amico del buon Francesco è Fabio Copeta, founder & creative & videomaker & so so on, di Live in Tuci. «Le Live Session in Tuci sono nate probabilmente per un’esigenza. Durante il primo lockdown avevo capito che la musica live si sarebbe fermata chissà per quanto, così ho pensato di creare qualcosa che in quel momento mancava: uno spazio dove la musica dal vivo non potesse mai fermarsi. Ma, anzi, reinventarsi». Così Fabio ci parla della genesi del tutto. Un lavoro di mise en forme artigianale, che lo vede coinvolto a 360°: dalla registrazione alla post produzione, passando per l’ospitalità e la scelta dei musicisti, finora molto variegata – da Giungla a Colombre, passando per Marco Giudici, Post Nebbia, Giallorenzo e HÅN.
Il postulato di partenza di Fabio è molto semplice: «Sono partito dall’idea che, nella casa di ogni musicista, la musica ci sarà sempre e comunque. Così, essendo anche io musicista e sentendo questa esigenza, ho deciso di dare vita a questo progetto». Insomma, Live Session in Tuci si configura come una sovrascrittura del personale orientata verso il collettivo. «La prima puntata è stata girata ancora durante la quarantena, con Giovanni – cantante dei Malkovic, nonché mio coinquilino».
Live Session in Tuci è nato l’anno scorso, in piena pandemia: una serie di live-session musicali trasmesse dal cuore dell’hype-periferico meneghino aka Tucidide
«Attualmente la mia unica ambizione è dare spazio alla musica – l’idea è quella di portare le session al di fuori di Tuci, in una geocalizzazione ancora impensabile. Ho iniziato a invitare persone a me vicine, quindi i primi ospiti sono stati i miei amici. Poi appena la cosa ha iniziato un po’ a girare ho avuto modo di contattare altri artisti a cui tenevo molto. A oggi nonc’è un vero e proprio criterio per la selezione degli artisti, semplicemente invitiamo chi sentiamo vicino a noi per i motivi più svariati».
Live Session in Tuci è la fotografia di un determinato momento storico. Un tempo e uno spazio preciso, incorniciati da un’evidente cura fotografica e da un’estetica piuttosto riconoscibile che unisce tutte le performance, seppur molto diverse in termini di genere musicale. «Sono un grande appassionato di cinema e del linguaggio che gli appartiene quindi volevo che il progetto avesse una cura estetica fotografica, per narrare al meglio l’ambiente casalingo e la magia della musica. Mi piace anche l’idea di documentare quello che è la musica in questo periodo e quali sono gli artisti che la vivono: unendo i due aspetti il progetto ha avuto inevitabilmente questo codice».