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Mi casa es mi casa

Quando il prezzo dell’affitto è pari al costo dell’emancipazione

Geschrieben von Marta Zannoner il 19 Dezember 2022
Aggiornato il 20 Dezember 2022

Passeggiando per le strade di Venezia, la prima cosa da cui si è sopraffatti è la sua bellezza (e l’orda di turisti). Ammaliati dall’eleganza e dal “tourist-appeal” di questa città, ecco che si viene assaliti da un audace pensiero: potrei prendere casa!

Alla data odierna, nella mia vita ho cambiato otto case, a cui corrispondono circa il doppio dei traslochi (considerando che tra un’abitazione e l’altra mi sono ritrovata a dover far tappa all’ovile genitoriale, aumentando sensibilmente il numero di spostamenti). Questo dato indica solo le abitazioni “significative”, ossia funzionali allo scopo di avere una base nella stessa città in cui ho studiato o in cui sto lavorando per un periodo medio-lungo.

Si seduce e si abbandona come un’amante, vittima della sua bellezza, eleganza e sensibilità. 

Tra le varie città in cui ho avuto il piacere di porre il centro dei miei interessi si annoverano: Trieste, Milano, Firenze, Torino e, infine, Venezia. Su ciascuna di esse avrei qualcosa da dire, un tratto della loro personalità da descrivere, ma al momento mi limiterò al capoluogo veneto, per cui mi rifiuto di usare l’appellativo Serenissima, francamente agli antipodi di come si sente realmente questa città. E rivendico il sostantivo “città”, pur essendo arrivata al di sotto, molto al di sotto, dei cinquantamila abitanti e su cui si specula e farnetica parlando di ticket, hotel di lusso e grandi navi. Il concetto è che Venezia è una città considerata un museo, vissuta come un parco divertimenti e vista come un grosso bancomat a cielo aperto. Si seduce e si abbandona come un’amante, vittima della sua bellezza, eleganza e sensibilità.

Vorrei dire che svegliandomi ogni mattina vedo casa mia come un posto sicuro dove a trentadue anni mi sento solida, a casa insomma. Invece non posso farlo, non posso dire che la mia emancipazione si stia realizzando. I lavori non mi permettono di pagare affitti e spese a cuor leggero: tutto va ponderato, che in linea di massima è un buon consiglio, ma non posso nemmeno considerare questa routine come la massima ambizione personale. Dopo numerose peripezie lavorative, sono riuscita ad approdare nella città lagunare, ottenendo un buon lavoro per cui si è rivelato necessario procurarmi un’abitazione. La mia famiglia abita a 20 km da qui: 40 minuti di treno. Avrei potuto fare la pendolare e, per un po’, l’ho fatto. Ma poi ho preferito avvalermi del diritto di avere un minimo di comodità e indipendenza.

Ho trovato la casa in cui ho alloggiato per la durata del mio impiego dopo mesi di ricerca e non pochi nervosismi – all’ennesimo monolocale a ottocento euro al mese spese escluse, sale il magone. Una delle frasi che ho preferito è stata «L’abitazione non è esente acqua alta, ma la finestra dà proprio sul Canal Grande». Nel mercato immobiliare l’apparenza batterà sempre l’efficienza. 

L’appartamento che sono riuscita a trovare è discreto, con i soffitti bassi, dentro un edificio composto da due unità abitative. Pago decisamente troppo (formula che indica un ammontare x pari o superiore alla metà dello stipendio), ma è stato il compromesso migliore che io sia riuscita a trovare. La posizione è ottima, se per ottima si intende una calle assediata da locali, turisti, sporca e caotica. Aggiungo anche che l’appartamento si trova nel sottotetto, in cima a una scala molto ripida raggiungibile esclusivamente in fila indiana. Però io questa casa l’ho amata, prendendomene cura e rendendola accogliente per me e per chiunque ci abbia messo piede. Era il mio porto di laguna e piccolo rifugio. 

Il viaggio verso la destinazione affitto è stato faticoso e mi sono scoperta assolutamente ignorante e naïf. Credevo che avrei affrontato prezzi inferiori rispetto a quelli di Milano, credevo che sarei potuta andare a vivere da sola e trovare il mio posto nel mondo, o quanto meno a Venezia…

La prima domanda che viene posta quando si contatta un’agenzia immobiliare è se si è residenti o meno. Se si rientra nella prima categoria, la speranza è vana. Non è possibile avere un alloggio. Qualora lo si trovasse, servono le referenze e una copia del contratto a tempo indeterminato. Ogni volta che sento tutte le caratteristiche che i padroni di casa vanno cercando, avverto subito un senso di colpa. Mi verrebbe da chiedere se anche loro combaciano al profilo dell’affittuario perfetto, ma la verità è che ho la sensazione che la mia vera residenza sia all’interno di un bias cognitivo, che mi giudica e colpevolizza per non avere un lavoro fisso, per non aver scelto un percorso di studi diverso, per non essere andata all’estero e per non essermi ancora sposata o quantomeno fidanzata. Alle coppie 50mq li danno più volentieri. Sono andata a vedere un bilocale a San Polo e la proprietaria (un privato contattato tramite l’app Subito) ha detto «Mio marito preferirebbe affittare a chi a Venezia ci lavora». Finalmente! ho pensato, tralasciando il fatto che il marito parlava senza essere presente. «Però vorrebbe che a prendere la casa fosse una coppia, così è più facile pagare l’affitto». Il bilocale aveva un prezzo pari a ottocento euro, quindi ciascuno dei due fidanzati avrebbe pagato quattrocento euro per 25mq. Prigionia di coppia. 

Se non si è residenti, si apre un nuovo ventaglio di possibilità: le locazioni temporanee non superiori ai 12 mesi (massimo 18). Ed è quello a cui io ho acconsentito, pagando il 10% del totale degli affitti dei nove mesi di locazione all’agenzia, più la caparra e la prima mensilità. Al momento della firma del contratto, con duemilaseicentottanta euro in meno, mi è stato detto che la casa è in vendita e che avrei dovuto lasciarla a disposizione per due ore a settimana per delle visite da parte di possibili acquirenti o futuri locatari. Non era riportato il preavviso che avrei dovuto ricevere, ma l’agenzia mi ha rassicurata dicendomi che sarei stata avvisata una settimana prima dell’eventuale appuntamento. Un giorno l’agente mi ha scritto per chiedermi se il pomeriggio stesso avesse potuto mostrare la casa a qualcuno. Ai duemilaseicentottanta euro in uscita ho dovuto aggiungerne altri cento per le spese di pulizia finali, che deduco non abbiano fatto poi troppo bene prima del mio insediamento, considerando che, tra polvere, fazzoletti e vetri rotti, sotto il letto ho trovato dei calzini spaiati e delle mutande non di mia proprietà. Quando l’ho fatto presente all’agenzia, mi è stato risposto con un «Caspita. Mi dispiace tantissimo». 

Essendo diventata più sensibile alla questione abitativa, ho cominciato a prestare attenzione a come il tema viene affrontato dalla politica e dai media. Molti politici di destra, come l’attuale Senatore Raffaele Speranzon (FI), ex consigliere regionale del Veneto, si schierano a gran voce dalla parte dei proprietari, affermando che «La proprietà privata non si tocca» (La Nuova Venezia, articolo di Eugenio Pendolini, 4 ottobre 2022). Il commento era riferito all’Emendamento Pellicani, che vorrebbe regolare le locazioni turistiche a Venezia. La percezione di affitto residenziale come un’espropriazione mi sfugge, ma a quanto pare è un sentimento che esonda anche nel campo della comunicazione. Il centro storico è presentato come “prestigioso”, “comodo” e un “lusso”. Mi domando se veramente tutti quegli edifici una volta fossero abitati solo da gente “prestigiosa” che voleva essere “comoda” e vivere nel “lusso”, o se a vivere in quei palazzi ci fosse qualcuno di meno estremo. Se poi vogliamo porre l’accento sul fatto che chi occupa i centri storici sono spesso negozi di cianfrusaglie, allora il concetto di “prestigioso” viene a mancare e ci si trova di fronte a un paradosso ideale. Tuttavia, la comunicazione in ogni sua forma, soprattutto a fini commerciali, rivendica questa tesi proponendo svaghi e luoghi di ristoro a prezzi esorbitanti. Un palazzo storico verrà “riqualificato” e donato alla comunità, trasformandolo in un hotel di lusso per risollevare la città e aiutarla a vivere. Queste ultime non sono parole scelte a caso, ma tratte da una pubblicità di Airbnb apparsa su Instagram:

Il post recita: “Investendo nella conservazione della sua casa grazie a Airbnb, Ilaria aiuta a preservare la storia passata e futura di Venezia”. Pur non essendo necessariamente un portale dedicato ad alloggi a 5 stelle, i prezzi proposti dai privati su Airbnb sono volentieri paragonabili a quelli dell’Hotel Danieli. Addirittura possono superarli. 

Nello stesso quotidiano, nello stesso giorno, ho trovato due articoli che mi sono parsi agli opposti per i concetti espressi, ma assolutamente connessi. Uno indicava come nella città lagunare ci fossero almeno 1.016 appartamenti vuoti (“Allarme appartamenti sfitti: sono 2200 di cui la metà in centro storico” di Marta Gasparon, Il Gazzettino, 02 dicembre 2022). L’altro descriveva la fiorente crescita degli investimenti immobiliari nel Triveneto, collocando Venezia al terzo posto in Italia per quotazioni degli immobili (“Immobiliare, Nordest secondo mercato italiano” di Paolo Guidone, Il Gazzettino, 02 dicembre 2022).

Quindi alcune domande mi sorgono spontanee: a queste condizioni, cosa vuol dire aiutare una città a sopravvivere? È un riconoscimento implicito del fatto che Venezia sta morendo? E allora perché sta morendo? La risposta che si sente di più solitamente riguarda l’eccesso di turismo e la mancanza di residenti e di servizi a loro dedicati. Preservare la storia futura di Venezia significa forse mantenere la situazione attuale? Non stiamo forse aiutando solo i proprietari di beni immobili?

Mentre scrivo queste parole, mancano pochi giorni a quando dovrò lasciare questa casa. Al “check-out” come l’ha definito l’agenzia. Ho abitato qui nove mesi, mi sentivo quasi a casa, ma il termine alberghiero di “check-out” mi ha riportata alla realtà. L’agente immobiliare e il padrone di casa, che io non ho mai visto, arriveranno alle 10.30 del mattino. Tengo comunque a sottolineare che, secondo questa logica da hotel, io l’ultimo giorno di permanenza l’ho pagato per intero. 

Mi capita di pensare che tutta Italia si stia trasformando in un unico grande hotel di lusso. I residenti – chi tra loro non può permettersi il centro storico, o semplicemente di restare all’interno della città dove lavora, pur mirando a quartieri più periferici – cambieranno comune, nascondendo la delusione dietro le parole «Ci metto solo 20 minuti di autobus ad arrivare in centro. Al massimo 40 se c’è traffico». Eppure loro l’hanno amata quella città, prendendosene cura e rendendola accogliente per loro e per chiunque ci avesse messo piede. 

Alle volte vorrei lasciarli vincere. Lasciarli prendere il sopravvento nella mia testa. Persino unirmi a loro, rivendicando il diritto alla proprietà e poi mettere a uso turistico (che talvolta sembra quasi pubblico) la mia abitazione, affittandola a prezzi esorbitanti. Una volta guadagnato a sufficienza, potrei comprarmi una seconda casa da destinare a chi vuole visitare questa meravigliosa città. Potrei ristrutturarla, ma senza spendere troppo perché tanto, poi, l’affitto ai turisti.