Ho due poster sulla mia parete preferita, Pasolini da una parte e Patrizia Cavalli dall’altra: “comunque sia io ho la nostalgia”, che potrebbe essere l’epilogo di ogni mia giornata, che potrebbe essere la scritta sul muro di fronte il mio ufficio, un pensiero semplice che consumo in modo sostenibile su un poster dentro casa. Ecco, qualcuno prima di me e meglio di me ha saputo arginare e dominare certe sensazioni, e le ha volute poi condividere con me e con un sacco di altra gente, che con quelle parole in tasca, ha navigato tranquillo. Condividere e pubblicare prima era un passo elitario, ma la voglia di dare una forma a quel bisogno fisico di mettere ordine, è invece sempre stato un passo comune, che molti annegano (o fanno fiorire) nello scrivere, scrivere e scrivere. Comune è anche l’unione a cui portano i collettivi, l’appartenenza a una zona e le scene di una città: questa milizia culturale di cui i grandi centri, come Milano, per fortuna e nonostante tutto, sono ancora una culla. Qui prende forma e sostanza il collettivo di poesia contemporanea Murmur, fondato nel 2022 da Maria Luce Cacciaguerra e Greta Sugar.
Murmur è la risposta che alza la mano rispetto al capoverso vuoto, è la milizia culturale che batte i tacchi sul terreno candido e arrogante della poesia.
Greta e Luce si conoscono, come nelle migliori novelle romantiche 2.0, grazie a Instagram e, negli anni in cui la parola incontrarsi era diventato un sogno impalpabile, ne fanno invece la scintilla del loro percorso, e del percorso culturale di cui sono centro gravitazionale. Murmur è infatti figlio di coraggio, passione, competenza e partecipazione, verso la cultura poetica e la scrittura contemporanea, verso il contemporaneo tempo che viviamo, e verso l’essere umano contemporaneo che fa la cultura e vive il tempo. I passi di queste due amanti della parola hanno andamento deciso: alle spalle gli atenei di storia e letteratura e a prua un progetto che subisce una delle metamorfosi più piacevoli di sempre, quella che si plasma all’ombra dell’inatteso, che si fa capacità di scoprire la propria voce e di riconoscere quella degli altri, e di queste voci farne poi un motore che via via si protrae in avanti.
Murmur è la risposta che alza la mano rispetto al capoverso vuoto, è la milizia culturale che batte i tacchi sul terreno candido e arrogante della poesia, che si poggia su quattro popolari momenti di aggregazione: incontri, workshop, letture ed eventi. L’idea è forse quella di costruire, un po’ per volta, i binari per raggiungere la poesia intoccabile che ha scolpito la storia, e farne preambolo di condivisione e contaminazione. Perché molto spesso un pensiero convulso e tattile come quello poetico colleziona sguardi distratti e polvere, eppure altrettanto spesso riflette l’intimità di una generazione, di un’emozione, di una verità, strumento raro per comprendere e sopravvivere.
Con Murmur, e quindi Luce e Greta, più o meno è andata così:
C’è un workshop domani, verrai?
Certo, si!
Mandaci qualcosa che hai scritto, così se ti va ne parliamo.
Oh wow, ok ci penso…
Il giorno dopo sono andata da loro, il workshop era a Casa degli Artisti, mi hanno accolto e ho bevuto una birra prendendo posto intorno a un tavolo con tante persone che, come me, volevano concedersi del tempo per riflettere sulla bellezza delle parole. Tutto ha un ritmo piacevole, piacevole perché con modi leggeri Greta e Luce ti chiedono di compiere un bel passo davanti a tante persone attente.
Ora, se vi va, leggiamo quello che avete scritto, prima chi l’ha scritto e poi qualcun altro, chi vuole.
Mi ha divertito vedere che i primi minuti, come a ritornare tra i banchi, nessun volontario si fa avanti. Ma diversamente dall’impreparazione che ci muoveva tra i banchi, in questo contesto siamo tutti più consapevoli di quella parte di nudità che si intravede attraverso le parole. Insomma, prima è la tua voce a leggere quello che hai scritto, poi lo affidi a qualcun altro. O qualcun altro si fa avanti per vestirsi di quello che hai scritto.
Con una birra in mano, inizio io!
Vi assicuro non si tratta di imbarazzo ma solo una forma intensa di tenerezza, perché tenera è la pelle quando condividi un tuo pensiero, magari ripercorrendo la scintilla che l’ha messo sulla carta (di un foglio Word).
Lo rileggo io.
E questo è il momento in cui la pelle torna a farsi meno tenera, ma comunque elastica, perché dopo le prime 5, 6 parole, leggere diventa un percorso in pianura, ma affidare le tue parole a qualcuno che non immagina il movimento che hanno fatto i polpastrelli sulla tastiera, è un’esplosione di punti interrogativi e passi indietro che poi, con grande sorpresa, diventano passi in una direzione che neanche immaginavi, questo è il santissimo potere di un incontro, di un confronto, di un dialogo, di un tavolo con qualcosa da bere e tante parole.
Ecco, Murmur è un sussurro che molti di noi sentono, un richiamo a volersi fare spazio anche dentro, una necessità a voler fare ordine mettendo con consapevolezza e intenzione una parola dopo l’altra, un punto, una virgola e a volte lasciando enormi spazi bianchi.
La poesia, nelle sue mille forme, è o dovrebbe essere la piazza dalla mia e delle altre generazioni, non stupisce che sempre più persone arrivino a un collettivo come Murmur e scelgano di restare, perché magmatica è la voglia di confronto che trova così un fiume in cui scorrere, stupisce forse che la poesia debba sgomitare per farsi spazio, ma i collettivi e non solo, da fuori, e alcuni accademici ed editori da dentro, stanno forse spingendo per renderla meno intoccabile, meno polverosa. Come la prosa che racconta il tempo e lo attraversa, così è la poesia con chiare lettere e chiarissime immagini: non stupisce quindi che la poesia abbia un pubblico, che venga urlata in una manifestazione, che faccia ridere a una serata in un bar o che lasci un peso da smaltire di notte.
La poesia si sta facendo piazza, facciamole spazio.