Difficile pensare a un’etichetta che per due decenni abbia saputo imprimere una sua impronta musicale ed estetica così forte e riconoscibile. Uscite sempre calibrate e centellinate (in totale 170), un roster di artisti di qualità indiscutibile, un’attenzione costante anche alla dimensione artistico-visuale e al binomio audio/video. Monolite è la parola che mi viene in mente per descrivere la raster-noton. Dal 2007 – quindi per circa metà della sua esistenza – questa etichetta si ritrova a Roma, a settembre, per uno showcase che vede alternarsi diversi artisti, uno di seguito all’altro, per circa quattro ore interrotte di musica: l‘Electric Campfire, nato dall’incontro tra Carsten Nicolai (ai più Alva Noto) e l‘Accademia Tedesca di Villa Massimo, diretta da Joachim Blüher, dove Carsten è stato borsista nel 2007. In occasione dell’edizione 2016 del Campfire (in programma il 9 settembre) abbiamo intercettato Olaf Bender – in arte Byetone, fondatore della raster-noton assieme a Carsten Nicolai e Frank Bretschneider – per delineare un bilancio dei primi 20 anni dell’etichetta e farci raccontare la sua storia, iniziata da due progetti discografici che saranno poi fusi: Rastermusic (gestito da Olaf e Frank) e il noton.archiv für ton und nichtton (gestito da Carsten). Correva l’anno 1996.
ZERO: Iniziamo questa intervista dagli albori della raster-noton. Vi conoscevate già all’epoca delle due etichette madre, Rastermusic e noton.archiv für ton und nichtton?
Olaf Bender: Sì, ci conoscevamo già da prima. Veniamo da Chemnitz (dal 1953 al 1990 Karl-Marx-Stadt, nda), una cittadina molto piccola, così come è piccola la sua scena musicale, per cui è normale conoscrere chiunque ne faccia parte.
Quali sono state le prime uscite delle due etichette? Vi capita di ascoltarle ancora e cosa ne pensate a distanza di 20 anni?
La prima uscita della Rastermusic è stata un ep di Kyborg. Non lo ascoltiamo più perchè lo vogliamo mantenere nelle migliori condizioni possibili: ci è rimasta solamente una sola copia! In ogni caso, ascolto ancora oggi i dischi più vecchi e sono sempre sorpreso di come la musica sia cambiata solo marginalmente. La musica degli anni 70 è completamente diversa da quella dei 90, almeno per le mie orecchie. Non direi la stessa cosa se comparassi la musica di 20 anni fa con quella di oggi.
Perché avete deciso di unire le due etichette?
Con il passare del tempo i concept delle due etichette si sovrapponevano sempre di più. Quando nel 1999 abbiamo pensato alla serie 20′ to 2000, abbiamo anche capito che non ci sarebbe stata alcuna differenza se quei dischi fossero usciti sull’una o sull’altra.
Mi incuriosisce il termine „archivio“ accostato a un’etichetta. C’era un motivo particolare dietro la sua scelata?
Non volevamo apparire come la classica label che fa uscire semplicemente dischi e non volevamo limitarci nemmeno alla sola musica. È stata una dichiarazione d’intenti positiva.
Parlando sempre di nomi, penso che Waves +Lines, il titolo del primo album a firma Signal (progetto che coinvolge i fondatori, Alva Noto, Byetone e Frank Bretschneider, nda), sia ancora il manifesto perfetto della raster-noton. Sei d’accordo?
Direi che potremmo essere d’accordo, soprattutto se guardiamo questa scelta col senno di poi, a molti anni di distanza. Al momento dell’uscita dell’album, però, il titolo non voleva essere né un riassunto, né l’essenza di alcun concetto. D’altra parte, mi ricordo che in quel periodo pensavamo spesso nei termini di manifesto, abbiamo pesino inserito un nostro manifesto in quel cd. Per cui penso che un senso più profondo in quel titolo fosse stato codificato già da principio.
Che musica ascoltavate prima di fondare le due etichette? Ci sono artisti o movimenti musicali che vi hanno influenzato?
Nella Germania dell’Est, dove siamo cresciuti, non c’era la possibilità di „specializzarsi“ in un particolare genere musicale. Solo dopo molti anni abbiamo realizzato che tendevamo ad ascoltare musica più sperimentale. Questo dipendeva anche dal modo in cui la musica veniva trattata in radio. All’epoca della DDR le radio erano controllate dallo Stato, per cui offrivano moltissima musica non commerciale, specialmente di notte. E noi ascoltavamo la maggior parte della musica proprio di notte, seduti di fianco alla radio, registrando quello che veniva trasmesso. Non aveva importanza se fosse rock americano, free jazz o musica underground inglese. In ogni caso, io sono stato molto influenzato dalla new wave.
Ti faccio la stessa domanda, ma riguardo l’arte.
All’inizio mi sono interessato al Futurismo russo, poi anche a quello italiano. Mi ricordo che rimasi particolarmente colpito da una mostra di Beuys che avevo visto da ragazzo. Per quel che riguarda l’arte digitale, sono rimasto colpito dai primi video dei The Residents e dai video sperimentali del regista ungherese Gábor Bódy.
Dà maggiori brividi vedere una propria opera in un museo o suonare dal vivo?
Penso che siano due situazioni che non si possano comparare, hanno caratteristiche totalmente differenti. È eccitante in generale presentare un lavoro di qualità a un pubblico, in una bella venue, non importa poi se si tratti di un live o di una mostra. Nel mondo dell’arte, in un museo, si crea sempre un’atmosfera di importanza e spesso il punto di vista che si utilizza è molto concettuale. In un club, invece, si celebra la leggerezza della vita, che a volte può essere veramente superficiale. Nel mezzo si crea un’area di tensione molto interessante.
Qual è stato il tuo primo computer? E il primo con cui hai composto musica?
Un Commodore C65, è stato il mio primo computer e il primo con cui ho suonato.
Qual è stata la prima uscita a nome raster-noton? Ne siete stati subito soddisfatti?
È stata la serie 20′ to 2000, e ancora oggi è importantissima per noi.
L’ultima?
Un ep di Kyoka, SH, con cui abbiamo raggiunto il numero 170 nel catalago raster-noton.
Quale sarà la prossima?
all’inizio di ottobre faremo uscire una serie di ep di Grischa Lichtenberger (Spielraum, Allgegenwart e Strahlung), che include anche una serigrafia numerata e personalizzata, firmata da Grischa stesso.
Quali sono i tuoi 5 album preferiti della raster-noton?
Non c’è un preferito, anzi, il preferito cambia ogni settimana. Ma mi piace citare cinque dischi che danno l’idea di quanto sia ampio lo spettro dell’etichetta: Ø + Noto – Mikro Makro, Mitchell Akiyama – Temporary Music, Taylor Deupree – Polr, Atom™ – Winterreise, Anne-James Chaton – Événements 09.
Com’è è cambiata la musica elettronica in questi 20 anni e quali gli artisti che più hanno contribuito a cambiarla?
Penso che la più grande differenza è che la musica elettronica ora sia modellata sulle masse. In generale, non vedo più un grande potenziale nello sperimentare con il suono, specialmente se si tratta di sperimentazioni aperte. Per quel che riguarda gli artisti, diciamo che si tratta di un tipica domanda da media. Quello che c’era di speciale nell’elettronica era che veniva da un movimento sostanzialmente anonimo, aspetto che ne era anche l’elemento evolutivo più importante. C’era musica che veniva da Detorit come dalla Finalndia, i cui produttori erano pressoché sconosciuti. Penso che questa musica abbia perso molta della sua originalità nel momento in cui si sono sviluppati degli stili personali.
Come festeggerete questo ventennale?
Ci sono stati già degli showcase. Ad esempio, ne abbiamo fatto uno a Berlino al Berghain ad aprile, dove abbiamo anche presentato la nostra nuova installazione, White Circle, che abbiamo realizzato proprio per l’occasione del ventennale. Consiste in 96 tubi di neon sistemato in un cerchio che sono attivati dal suono. È stata creata in collaborazione con il Zentrum für Kunst und Medientechnologie Karlsruhe e a fine settembre la porteremo a Bruxelles. Abbiamo fatto showcase al Sónar a Barcellona, ad Amsterdam al Bochum e ne faremo altri in Germania e in Giappone. Inoltre, ci sarà anche un libro speciale che raccoglierà l’intero catalogo della Raster-Noton aggiornato praticamente all’oggi.
Prima di parlare del Campfire di Roma sarei curioso di sapere qualcosa su quello originale, che si teneva a Chemnitz.
Il concept è lo stesso, riuscire a far suonare quanti più artisti possibile, uno di seguito all’altro, semplicemente per il divertimento di farlo, senza alcuna forma di profitto. C’è sempre un pubblico ristretto invitato; l’aspetto speciale e interessante di questi eventi sono proprio i confini tra pubblico e artisti che diventano opachi, molto poco chiari, un qualcosa che non succede altrove. eventi.
Come nasce il Campfire qui a Roma, invece? È stato pensato sin dal principio per essere un appuntamento annuale oppure vi siete detti „Facciamolo una volta e poi vediamo come va“?
Penso che tutte le cose buone abbiano un’evoluzione naturale. Il Campfire di Roma è stato principlemnte un’iniziativa di Carsten, che è stato borsista a Villa Massimo nel 2007, e del direttore Blüher. Mi ricordo che alla prima edizione ci furono circa 300 persone. In generale, Roma è da sempre una location con molte attrattive per noi: amiamo il lifestyle italiano e Roma ha una comunità elettronica (Dissonanze, ad esempio) che ci ha supportati da sempre.
Considerando che questa sarà la nona edizione del Campfire a Roma, immagino che per tutti voi sia un momento molto importante.
Sì, ormai è una questione di cuore per noi tornare a Roma almeno una volta all’anno e incontrarci tutti insieme, invece di gironzolare per aree backstage depressive fino al momento di prendere il volo il giorno dopo.
State già pensando alle celebrazioni per il decennale del Campfire?
No, ancora no. Vedremo quello che succederà, senza particolari ansie.