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Se riapre tutto, per la cultura dal vivo bisogna alzare la voce

Si fa assordante il silenzio su teatri, cinema e musica

Geschrieben von Salvatore Papa il 13 Mai 2020

Come la tv accesa nei bar, così pare che diventeranno i cartelloni della prossima estate nelle città: una marea di piccoli eventi posizionati qua e là attorno ad agglomerati di bar e ristoranti ben distanziati.
Perché di questo si parla quando si pensa al futuro prossimo della cultura „comunale“, di un sottofondo che possa allietare i nostri aperitivi e cene nella nuova città policentrica. Praticamente nulla di nuovo, rispetto a ciò che già succedeva, con la differenza che ora molta di questa inutilità potrebbe uscire dai centri storici per raggiungere anche le periferie. Bisogna, in fin dei conti, intrattenere “la comunità” – com’è tornato di moda chiamare i consumatori – mentre la recessione fa il suo corso inesorabile.

E a conferma della funzione meramente accessoria che si vuole dare al settore culturale privato della componente turistica, a pochi giorni dalla riapertura in molte regioni di quasi tutto quello che si può riaprire, dalla lista manca completamente la cultura dal vivo. Perché? Boh, nessuno lo sa veramente. O forse lo sappiamo, e l’ha già detto provocatoriamente la nostra Lucia Tozzi qui: «possiamo immaginare i ministri che si siedono intorno a un tavolo per decidere come spartire i miliardi di aiuti, e quando arrivano ai lavoratori della cultura si guardano e dicono: “ma no, a questi poco, sono già abituati a fare la fame e poi campano con le pensioni dei genitori, quelle non le abbiamo ancora toccate”». Insomma, la cultura può sempre aspettare poiché percepita come un comparto composto da privilegiati. Ma come lo raccontiamo alle centinaia di precari e partite iva che nel frattempo affondano nella palude dei luoghi comuni?

Che differenza c’è tra una chiesa e un cinema/teatro? Che differenza c’è tra un prato pieno di gente che chiacchiera ben distanziata e un parco pieno di gente ben distanziata con un palco o un dj?

Nonostante tutto, si fa comunque fatica a capire – ancora una volta – la ratio che consente a parchi presi d’assalto, chiese, negozi, spiagge, estetisti, bar e ristoranti di riaprire, ma non prevede ancora alcun tipo di protocollo per teatri, cinema e musica.

Che differenza c’è tra una chiesa e un cinema/teatro? Che differenza c’è tra un prato pieno di gente che chiacchiera ben distanziata e un parco pieno di gente ben distanziata con un palco o un dj? Si dirà che gli eventi richiamano folle e che l’accesso deve essere contingentato. Ok, capiamo come allora, ma capiamolo in fretta.

„Non vediamo l’ora – si legge in una delle tante lettere aperte per il sostegno all’esercizio cultura, in questo caso cinematografico indipendente – di poterci confrontare con indicazioni chiare, efficaci, operative e assumerci le nostre responsabilità così come lo faranno molti altri esercenti in altri campi. Chiediamo che si tenga conto, nel redigere nuove regole di socialità comune, dell’estrema varietà delle strutture e delle tante modalità organizzative e societarie, per fare in modo di trovare linee guida comuni che non vadano a creare discriminazioni, verificando l’effettiva sostenibilità delle normative tese a tutelare la salute pubblica“.

In questi mesi abbiamo attivato decine di tavoli, coinvolto artisti e operatori, provato a immaginare un futuro sostenibile, eppure le uniche idee per la cultura diffuse dai media mainstream riguardano perlopiù proposte di architetti o presidenti di confcommercio, confesercenti, conf-soldisoldisoldi.

Questo è, quindi, un appello agli operatori, perché alzino la voce e si facciano sentire più forte, rifiutando dove possibile di prestarsi alle speculazioni di chi pensa alla cultura come merce di consumo. Affinché il futuro torni ad essere una pagina bianca, non una cover band degli anni 90.